La fame è una sofferenza che non si può descrivere, ma solo vivere. Questo è il messaggio che un prigioniero ha trasmesso ai posteri, raccontando la sua esperienza all’interno del campo di concentramento. Gli internati vivevano di fame, con un rancio sotto le 1000 calorie al giorno, troppo poco per vivere, ma troppo per morire. La distribuzione del cibo avveniva in modo caotico e spesso ci si litigava per le porzioni e la qualità del cibo. I prigionieri facevano di tutto per integrare il fabbisogno di calorie, raschiando le briciole di patate attaccate alla buccia, frugando tra i rifiuti e umiliandosi per mendicare una pagnotta in cambio di qualcosa di valore. Non mancavano i furti di pane e di indumenti, e la solidarietà tra i prigionieri poteva trasformarsi in egoismo e isolamento.
Le condizioni di vita erano estremamente difficili, con un freddo insopportabile e una luce del giorno razionata e senza sole. Per convincere gli internati ad aderire alla Repubblica di Mussolini, gli oratori della propaganda promettevano il rimpatrio e miglioramenti immediati delle condizioni di vita. Veniva diffusa la lettera dell’ambasciatore Anfuso, che parlava della ripresa dell’onore dell’Italia e del riscatto dall’onta del tradimento badogliano. Si leggevano anche lettere di madri che supplicavano i figli internati di aderire e tornare a casa. Queste lettere commuovevano molti prigionieri, che si ritrovavano nella figura della madre che pregava per il ritorno del figlio.
Nonostante le difficoltà, alcuni prigionieri resistevano alle sirene della propaganda nazi-fascista e rifiutavano di aderire. Albino Carbone era uno di loro, che resisteva alle profferte della nostalgia di casa e alla tentazione di aderire per avere un trattamento migliore. La sua prova più dura era quella di non poter dare notizie alla sua famiglia, che lo considerava tra i dispersi e lo attendeva come caduto in guerra.
In conclusione, la fame e le difficoltà della vita nel campo di concentramento erano estreme e solo chi le ha vissute può capirle veramente. La propaganda nazi-fascista cercava di convincere gli internati ad aderire, ma alcuni resistevano e preferivano restare fedeli ai loro valori e alla loro patria.