La violenza di genere a Benevento: un problema ancora attuale
Benevento, una piccola cittadina che sembrava essere un’oasi felice, non è esente dai fatti di cronaca legati alla violenza sulle donne. Oggi mi trovo qui ad aspettare che mia figlia venga visitata: sospetto che abbia subito una lesione allo zigomo a causa di due pugni inferti in pieno volto mentre chiudeva la sua attività stanotte. La sua colpa? Essere una donna. L’aggressore non era affatto un ragazzo geloso, ma un cliente.
Qualcuno potrebbe pensare che fosse sotto l’effetto dell’alcol, ma anche questa volta si sbaglia. Non si trattava di un geloso innamorato né di un ubriacone, ma solo di un ragazzo che non ha tollerato il rifiuto di mia figlia di fronte a richieste assurde. “Ha sbagliato a parlare con un uomo, ha spostato con la bocca!”. Siamo nel 2023 e ancora assistiamo a spettacoli simili, in cui la donna viene considerata un “essere inferiore” rispetto al maschio dominante che non può essere “spostato con la bocca”. Mi chiedo quale sia il vocabolario a modo per queste persone fisicamente della generazione Z ma mentalmente del 1800!
Sono una madre di una donna e vivo costantemente nel terrore che mia figlia possa morire per mano di un folle. Un tempo, quando si cresceva un figlio, ci si augurava sempre che non prendesse strade sbagliate o si drogasse. Oggi, le mamme delle ragazze si augurano che non vengano uccise da un uomo e che non vengano stuprate. “Non accettare bevande da nessuno, chiama se torni tardi, parcheggia vicino al luogo di lavoro, fatti accompagnare all’auto quando finisci di lavorare, non rispondere male a nessuno mentre guidi.” Queste sono le raccomandazioni a cui mia figlia risponde: “Mamma, quando potremo camminare liberamente senza paura?” Cosa posso mai risponderle considerando i tempi e le insicurezze. Oggi avrei potuto piangere sulla sua bara, ma fortunatamente se l’è cavata solo con un occhio, il naso e un orecchio neri e forse uno zigomo lesionato.
Quante ragazze subiscono abusi simili e non hanno il coraggio di denunciare o parlare? Alla fine, la volontà di tirarsi indietro è tanta. Da stamattina è ancora in pronto soccorso per un referto che sembra non arrivare mai. Poi bisogna denunciare e poi si resta sole. E se lui torna? Se manda qualcuno? Questo aggressore potrebbe cavarsela con un divieto di avvicinamento o un Daspo urbano, e poi? I giornali sono pieni di “e poi”: omicidio. Non esistono normative in merito. Non esiste terapia psicologica forzata o obbligo di rieducazione all’affettività, né affidamento ai servizi sociali e, soprattutto, nessun coordinamento istituzionale per permettere alle donne di camminare liberamente o di ritirarsi quando vogliono senza essere accusate se lavorano oltre la mezzanotte. I coprifuoco di genere sono altrettanto dannosi quanto la giustificazione di uno stupro per una gonna corta.
Sicuramente una presenza più frequente delle forze dell’ordine per le strade della città avrebbe potuto essere un deterrente che avrebbe evitato quei pugni. La morale della favola è che la deriva emotiva e affettiva di questi ultimi tempi non può essere presa alla leggera, ma deve essere affrontata con misure e interventi concreti. Il sindaco ha chiamato per solidarizzare, ma oltre alla solidarietà è necessario che tutti lavorino insieme, andando oltre le divisioni. Istituzioni, società civile, scuola, forze dell’ordine, associazioni: tutti uniti per chiedere che la legislazione sulla violenza di genere sia ampliata con norme che obblighino chi è violento ad essere rieducato forzatamente all’affettività e al rispetto.
Alle mamme dei figli maschi, invece, dico di educarli al rispetto del prossimo in modo indistinto. Nel 2023 non possiamo assistere a spettacoli indegni di uomini violenti, ancora educati con il concetto del maschio padrone. Il patriarcato non esiste più da decenni, quindi modernizzatevi come avete fatto iscrivendovi ai social media.
Una mamma.