Colpisce, nel caso del sedicenne omicida di piazza Municipio dopo l’arresto, il totale distacco e la mancanza di consapevolezza del grave gesto compiuto. Sembra quasi che si sentisse protagonista di una fiction televisiva con un finale buonista scontato. O, come è successo, si sentisse parte principale di una “storia” sui social con commenti rassicuranti e solidali. È un capovolgimento dei valori, dove sembra che la vera vittima, con i suoi sogni spezzati, non sia stato Gianbattista Cutolo. Ed è l’atteggiamento dell’omicida, la sua reazione alla vita cancellata, che deve far riflettere.
Partendo da una premessa che ormai è un ritornello: da dove arrivano così tante armi nelle mani degli adolescenti napoletani? Come è possibile uscire di casa con facilità portando sempre una pistola o un coltello pronti all’uso? Gli episodi degli ultimi mesi estivi, a Mergellina come a Posillipo, fino all’omicidio di Giogiò, sono segnali di una patologia senza fine. Napoli sembra un Far West, un territorio metropolitano che sembra emulare gli Stati Uniti e i suoi pazzi pistoleri nel possesso delle armi.
Ma questa premessa ci fa riflettere, e lo ripetiamo da tempo, sulla grande emergenza minorile che colpisce tutta la nostra provincia. Naturalmente, il sedicenne omicida non frequentava la scuola. Forse, come molti suoi coetanei, la riteneva inutile, considerava i professori, sviliti in autorità e ruolo anche dalle famiglie, come dei poveri cristi che non potevano dargli nulla confronto agli esempi effimeri e virtuali dei social, alle competizioni per strada, alle rivalità tra coetanei. Non sorprende che nella nostra provincia il tasso di abbandono scolastico sia arrivato al 35%. Si sente ripetere come soluzione estrema il togliere questi figli della violenza dalle mani delle loro famiglie assenti. Ci sono precedenti giudiziari, avviati anni fa in Calabria e seguiti anche da noi. Ma è una soluzione giudiziaria da motivare in realtà degradate con genitori assenti. Emergenza minorile, in un contesto metropolitano in cui sembra che, in una realtà sempre più caotica e con piccole illegalità tollerate, il tasso di aggressività sia aumentato.
Il grave episodio di piazza Municipio sembra dimostrare che molti adolescenti hanno sviluppato un senso di impunità, la convinzione di poter fare tutto senza freni né limiti. Anche uccidere, se la vita non è più un valore trasmesso e radicato. Nell’ignoranza delle regole, se è vero che il sedicenne arrestato ha chiesto in Questura “ora che succede, dove mi portate?”. Una battuta da fiction buonista, su cui lo stesso padre di Gianbattista ha puntato il dito in un’intervista a questo giornale, così come gli operatori delle associazioni che si occupano di minori con problemi penali. La televisione, come i social, in assenza di esempi positivi concreti e di autorità forti, creano miti da emulare, convincendo che tutto finisce bene con una bella sigla musicale.
Purtroppo, la realtà non è una fiction. Lo ripete da tempo con forza Enzo Morgera, uno dei fondatori e animatori del progetto onlus Jonathan che gestisce due case per minori a rischio. Ci sono 25 associazioni che lavorano in questo settore. Quando prendono in carico un adolescente che ha commesso reati sotto l’affidamento della giustizia minorile, gli danno regole quotidiane, orari, limiti, interessi. Cercano di scuotere la passività di vite con famiglie assenti in contesti sociali che sviluppano il valore della sopraffazione violenta, dove l’affermazione sugli altri è legata solo alla forza e alla decisione. Sono passati 51 anni dall’esperienza ai Quartieri Spagnoli della Mensa dei bambini proletari. Oggi tutto è più difficile, tutto più complesso come dimostra l’associazione dei Maestri di Strada di Cesare Moreno, che da 20 anni crea progetti per educare alla creatività i ragazzi delle zone a rischio.
Iniziative private, impegni economici e personali, dove lo scoraggiamento è sempre dietro l’angolo. La morte di Giogiò sembra dichiarare il fallimento storico della nostra metropoli, dove la convivenza è sempre più tesa, dove il buonismo sulle famose “due Napoli” descritte da Mimì Rea, diventato alibi sul degrado sociale per dare la colpa solo alla politica, mostra ormai limiti di analisi. Il presidente De Luca invoca i lanciafiamme e l’esercito, ma se poi alla distruzione non seguono progetti e idee concrete per una società diversa, meno schiava dell’immagine e con una reale conoscenza storico-culturale, non si andrà lontano. E saremo costretti ancora a raccontare altre follie, come la morte di Giogiò che sognava di fare il musicista.