“Nessuno poteva illudersi sull’esito della battaglia, ma si sperava, si sperava”. Queste sono le parole di Beppe Fenoglio, tratte da “Atto Unico”, una composizione teatrale pubblicata postuma e ancora inedita. L’8 settembre si è tenuta la Prima nazionale, a 80 anni dal proclama di armistizio di Badoglio e dall’inizio della Resistenza, grazie all’Anpi, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, con la sezione provinciale guidata da Amerigo Ciervo. Sul palcoscenico del Mulino Pacifico, per la regia di Michelangelo Fetto della Solot Compagnia Stabile di Benevento, si sono esibiti la potente Assunta Maria Berruti e i debuttanti Giorgia Gomes e Angelo Valente del TeatroStudio.

Ma cosa ha voluto trasmettere Fetto con questa messa in scena? Cosa cercava di liberarsi Fenoglio con questa composizione teatrale ancora grezza? Ci sono dei conflitti, uno dentro l’altro. La guerra, il fascismo e la Resistenza. I partigiani e i soldati. La collina e la pianura. La fuga e la guardia in divisa. Il freddo della notte e la carne bruciata dallo sparo. C’è il desiderio di amore e l’orrore della realtà che l’amore stesso non riesce a vincere. C’è la delusione per un sacrificio che sembra inutile, che forse verrà meno scendendo dalla collina e nascondendosi al sicuro. O che finirà in una fossa comune. Ma c’è una cosa che non vuole scomparire. La speranza, di Fenoglio, di Fetto, di Bob il partigiano Badogliano.

“La collina mi fa nausea, il cielo mi fa nausea, tutto mi fa nausea, le strade mi fanno nausea… C’è la nausea di cercare un posto dove dormire. Bussare alle porte, resistere all’ululato dei cani e del vento… aspettare che ti aprano. E poi finalmente ti aprono quando l’attesa ti ha quasi fatto impazzire, e chiedi un posto dove dormire. Senti che tutto il loro intimo, tutto il loro spirito grida di no, e invece ti dicono sì. Hanno paura e ti fanno pena, ma una pena così disperata che quasi vorresti usare la pistola per liberartene. E dormire in quelle stalle! Non ci sono più animali, quasi non c’è più paglia. Il freddo e la durezza sono tali che non riesci a prendere sonno, quindi la tortura ti tormenta goccia dopo goccia. E il peggio è sentire le donne piangere, per la paura di avere sotto il tetto qualcuno che potrebbe costare loro il tetto e forse anche la vita del marito… Nell’ultima casa in cui sono stato, la donna ha pianto tutta la notte, dolcemente e piano, come una bambina. Io sono rimasto sveglio per tutto il tempo, lei ha pianto per tutto il tempo, l’uomo dormiva un po’, vegliava un po’, bestemmiava contro tutti e tutto, picchiava un po’ la moglie per quel suo piangere. Ti svegliano sempre alle tre. Alle tre! Senti l’uomo arrivare. Lui pensa che tu stia dormendo e per svegliarti ti tocca, nell’oscurità. E quel tocco ti farebbe urlare! Ti dice che sono solo le tre, che è maledettamente presto, ma che è meglio per tutti che tu te ne vada. Alcuni te lo dicono con affetto brusco, come un padre di famiglia rude ma buono, ma è solo un atteggiamento finto. Ci sono invece quelli che non recitano, te lo dicono supplicando. E così esci alle tre, nel cuore della notte, nel freddo più intenso, nel caos del mondo. E se solo sapessi, Lalla, quanto è difficile far passare il tempo dalle tre all’alba. Arrivi a desiderare con tutto il tuo essere di vedere anche solo una piccola luce, del fumo che esce da un camino, sentire una voce, qualsiasi voce. Ma tutto questo tarda ad arrivare. Poi finalmente, quando sei così esausto come se fosse già passata la giornata più lunga del mondo, inizia ad albeggiare. Non hai idea di quanto sia dura la lotta tra il buio e la luce, nel cuore dell’inverno. È qualcosa di spaventoso e… nauseante!”.

Dalla nausea, che sembra non avere via di uscita, all’uscita di scena, risalendo la collina con i compagni. Vincere o morire. Senza un amore personale, ma con tutto l’amore per una comunità che ancora non esiste: l’uomo nuovo della libertà.

Dopo gli applausi, Fetto e Ciervo hanno preso la parola. “Resistenza”, ha detto il primo, abbassando gli occhi, come il partigiano Bob che chiede ospitalità per la lunga notte. “È il momento di stare vicini all’Anpi”, ha ricordato Ciervo, “a noi ‘sbandati'”.

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