La pensione di reversibilità è una questione che interessa moltissime persone divorziate e è giusto cercare di capire quali sono le normative che la regolamentano. La Corte di Cassazione ha stabilito, con una sentenza del 2018, che la pensione di reversibilità non spetta all’ex coniuge che non riceve un assegno periodico. Questo può accadere quando l’assegno divorzile viene pagato in un’unica soluzione al momento del divorzio. Questo orientamento è stato seguito costantemente dalla magistratura. Ad esempio, la Corte d’Appello di Messina ha negato al ricorrente il diritto di percepire una quota della pensione di reversibilità dell’ex coniuge perché aveva ricevuto un assegno in un’unica soluzione al momento del divorzio. La legge stabilisce che spetta la pensione di reversibilità al coniuge che, dopo la fine del matrimonio, riceve l’assegno previsto dalla legge. La Corte d’Appello ha stabilito che il requisito della titolarità deve esistere al momento in cui sorge il diritto alla pensione di reversibilità e deve essere attiva una prestazione periodica a favore del coniuge superstite. Un ricorso successivo alla Corte di Cassazione ha evidenziato che la Corte non considera vincolante il significato della frase “titolare dell’assegno”. Non è giustificato ritenere che questa titolarità possa anche riferirsi alla mancanza di una prestazione periodica. Quindi, il requisito fondamentale per ottenere la pensione di reversibilità è la presenza di un sostegno economico continuativo a favore dell’ex coniuge.

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