Tommaso Ragnino è stato rilasciato e Francesco Diana è stato posto agli arresti domiciliari. Questa è la decisione presa dalla Dodicesima Sezione Riesame del tribunale di Napoli in seguito alla richiesta avanzata dagli avvocati dei due indagati, arrestati il 20 ottobre scorso dai carabinieri della compagnia di Maddaloni con l’accusa di tentata estorsione con l’aggravante della metodologia mafiosa ai danni della titolare di due vivai a Maddaloni. Tuttavia, l’aggravante è stata successivamente esclusa con il trasferimento di competenza al gip Maria Pasqualina Guardiano del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che ha firmato una nuova ordinanza confermando quanto stabilito dal gip Giovanni De Angelis del tribunale di Napoli, che aveva già escluso tale aggravante dichiarandosi incompetente e trasmettendo gli atti al tribunale sammaritano.
I giudici del Tribunale delle Libertà hanno quindi annullato l’ordinanza bis nei confronti di Tommaso Ragnino, assistito dall’avvocato Valerio Stravino, ordinando la sua liberazione dagli arresti domiciliari, e hanno sostituito la misura cautelare della custodia in carcere con la detenzione domiciliare per Francesco Diana, assistito dagli avvocati Ferdinando Letizia e Enzo Domenico Spina. Secondo la prima ricostruzione dei magistrati antimafia, Francesco Diana, imprenditore di San Cipriano d’Aversa, e Tommaso Ragnino, di Maddaloni, avrebbero insinuato di appartenere al clan dei Casalesi per estorcere denaro.
La vittima sarebbe un ragazzo marocchino naturalizzato a Maddaloni, detenuto presso il carcere di Bergamo, con precedenti per furto di mezzi per il movimento terra ed agricoli nonché di auto. Le indagini, avviate dopo la denuncia presentata dalla madre del detenuto lo scorso 23 maggio, hanno permesso di accertare che gli indagati, con azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, avrebbero minacciato ripetutamente la vittima di morte e avrebbero richiesto la somma complessiva di 40mila euro in tre tranche da 25mila euro, 12mila euro e 3mila euro, come pagamento di presunti debiti contratti dal figlio della vittima. Durante gli interrogatori, però, i due indagati hanno negato le accuse contestate, chiarendo le loro posizioni reciproche. Questi nuovi scenari hanno portato all’esclusione dell’aggravante della metodologia mafiosa.