“La situazione delle fabbriche dismesse a Casoria è paragonabile al tragico crollo del ponte Morandi: bisogna agire al più presto per evitare una tragedia e una possibile strage. Non c’è certezza, ma considerando le precarie condizioni in cui si trova, è molto probabile che il fungo dell’ex fabbrica di tecnofibre, abbandonata quasi quarant’anni fa, possa crollare come un castello di carte. L’appello dei residenti è quasi unanime.
“Le strutture portanti sono ancora più fatiscenti dei piloni del viadotto ligure. Potrebbe trattarsi di una tragedia annunciata e nessuno muove un dito”, afferma Guglielmo D’Anna, un automobilista costretto a percorrere via Boccaccio, la strada che collega la stazione ferroviaria di piazza Dante con località ponte Tre luci e con gli svincoli autostradali e degli assi a scorrimento veloce. L’ex sito industriale di via Europa, attualmente di proprietà di Ice Snei, è un’area abbandonata che potrebbe ancora nascondere materiali altamente pericolosi per la salute umana, secondo gli esperti. “Riteniamo urgente effettuare un’analisi del rischio e intervenire con una bonifica accurata per restituire questa vasta area della città ai residenti”, afferma un gruppo di studenti universitari di un’associazione culturale. Ma è necessario non fermarsi alla Rhodiatoce, ma includere anche studi sulla ex Resia, Tubi Bonna e Alenia, tutte fortemente sospettate di aver prodotto contaminazione attraverso scarti di lavorazioni gravemente nocivi”.
Gli immobili dell’ex Rhodiatoce sono di proprietà della Ice Snei, un’azienda privata che si occupa di immobili e costruzioni, ma in passato appartenevano a una società francese che, insieme ad altre aziende, dava lavoro a molti residenti, tanto da far considerare Casoria come la Sesto San Giovanni del Sud. Alla Ice Snei appartenevano anche il dopolavoro, situato di fronte alla fabbrica, e lo spaccio di generi di prima necessità riservato ai dipendenti. C’era anche un parcheggio che ora ospita spesso un circo e un distributore di benzina. Successivamente, la società fu acquistata da Montefibre, gruppo Montedison, e per motivi di espansione e nuove esigenze produttive, si trasferì ad Acerra. “Da allora, gli amministratori si sono dimostrati incapaci di recuperare le aree dismesse e di rilanciarle attraverso un progetto convincente”, scrive su i social Giovanni De Stefano. Tuttavia, nel 1997 si credeva che ci fosse una svolta grazie all’intuizione di un editore napoletano, Franco Liguori, che voleva creare la “Città del libro” nell’area dell’ex Rhodiatoce. Attraverso il “Contratto di Programma”, che garantiva la partecipazione pubblica e avrebbe creato lavoro per 165 persone, i progetti furono avviati, ma tutto si interruppe: l’area era contaminata dall’amianto e la bonifica era troppo costosa. Dopo anni di promesse ma anche di silenzio, un paio di anni fa è emerso un nuovo progetto che mira a realizzare un campus universitario nell’ex complesso industriale, attraverso un completo recupero del territorio.”