Il femminicidio: un problema culturale da affrontare con razionalità

L’ultimo caso di femminicidio, quello di Giulia Cecchettin, ha portato alla luce una realtà troppo drammatica per poter essere ignorata. La lista delle vittime è lunga e ogni storia ha le sue peculiarità, ma è necessario fare qualcosa di più che condannare e provare rabbia.

Prima di tutto, è importante fare una precisazione: non ogni volta che un uomo uccide una donna si può parlare di femminicidio. Ciò non significa che l’uomo sia meno colpevole, ma per affrontare questa minaccia sociale è necessario riconoscere le caratteristiche specifiche del fenomeno.

In secondo luogo, bisogna parlare della pena di morte. L’opinione pubblica spesso invoca l’uso della forca o della sedia elettrica, ma finora non si sono ottenuti risultati concreti. È importante ricordare che le pene devono essere giuste, ma non possiamo pensare che la pena di morte risolva tutti i problemi.

Infine, c’è il tema dell’educazione. Spesso si sente dire che il problema è culturale, ma pochi sono disposti a fare qualcosa per cambiarlo. È importante studiare e capire questa cultura del patriarcato, anziché limitarsi a ripetere che il problema è culturale. L’educazione è fondamentale, ma dobbiamo chiederci cosa sta succedendo nella testa delle persone e nell’aria che respiriamo.

Chiediamoci perché uomini che non sono mai stati violenti decidano di uccidere le loro compagne, perché ragazzi che hanno tutta la vita davanti rovinino la loro vita e quella delle loro compagne con gesti fatali. Dobbiamo chiederci quale peso abbia la solitudine del nostro tempo, quella dei social e delle stanze buie, quella dei ragazzi per i quali il sesso è o violento o non è.

Chiediamo ai nostri psicanalisti, sociologi e criminologi di smettere di ripetere concetti banali in televisione. Invitiamoli a chiudersi nei loro studi e a ragionare sul perché di questa violenza, sul perché ora e con tale virulenza. Solo così potremo fare davvero servizio pubblico.

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