Un recente scavo nell’area ancora inesplorata della città antica di Pompei ha portato alla luce un panificio-prigione, dove persone ridotte in schiavitù e asini erano rinchiusi e sfruttati per macinare il grano necessario a produrre il pane. Questo ambiente angusto e senza affaccio esterno era dotato di piccole finestre con grate in ferro per far passare la luce. Nel pavimento erano presenti intagli per coordinare il movimento degli animali, che erano costretti a girare per ore con gli occhi bendati.
Questo impianto è stato scoperto nella Regio IX, insula 10, durante gli scavi di un progetto di messa in sicurezza e manutenzione dell’area. La casa che è emersa è in corso di ristrutturazione e si sviluppa in due settori: uno residenziale, decorato con raffinati affreschi di IV stile, e uno produttivo dedicato alla panificazione. All’interno del panificio erano già state trovate tre vittime nei mesi scorsi, a conferma che nonostante la ristrutturazione, la dimora non fosse disabitata.
Questa scoperta ci permette di descrivere meglio il funzionamento pratico dell’impianto produttivo, confermando quanto raccontato dallo scrittore Apuleio nel II secolo d.C. nelle sue Metamorfosi. Apuleio racconta dell’esperienza del protagonista, Lucio, trasformato in asino e venduto a un mugnaio, quindi aveva una conoscenza diretta di contesti simili.
Il settore produttivo scoperto non ha porte o comunicazioni con l’esterno, l’unica uscita dà sull’atrio. Nemmeno la stalla ha un accesso stradale come spesso accade. Questo spazio era destinato a persone di status servile, di cui il proprietario sentiva il bisogno di limitare la libertà di movimento. È il lato più sconvolgente della schiavitù antica, dove non c’era fiducia o promesse di manomissione, ma solo violenza. Questa impressione è confermata dalla presenza di poche finestre chiuse con grate di ferro.
Nella parte meridionale dell’ambiente centrale si trovano le macine, adiacenti alla stalla e caratterizzate dalla presenza di una lunga mangiatoia. Intorno alle macine si trovano degli incavi semicircolari nelle lastre di basalto vulcanico. Questi intagli sono stati realizzati per evitare che gli animali da tiro scivolassero sulla pavimentazione e per tracciare un percorso, formando un “solco circolare” come descritto da Apuleio.
Le fonti iconografiche e letterarie suggeriscono che una macina fosse mossa da una coppia composta da un asino e uno schiavo. Lo schiavo oltre a spingere la mola, aveva il compito di incitare l’animale e monitorare il processo di macinatura. L’usura degli intagli è dovuta ai continui giri effettuati secondo lo schema della pavimentazione. Si può pensare a un ingranaggio di un meccanismo di orologeria, concepito per sincronizzare il movimento intorno alle quattro macine presenti in questa zona.
Questa testimonianza di dura vita quotidiana, insieme ad altre scoperte, sarà parte della mostra “L’altra Pompei: vite comuni all’ombra del Vesuvio”, che aprirà il 15 dicembre alla Palestra grande di Pompei. Questa mostra è dedicata a quegli individui spesso dimenticati dalla storia, come gli schiavi, che costituivano la maggioranza della popolazione e contribuivano in maniera importante all’economia, alla cultura e al tessuto sociale della civiltà romana.
In conclusione, spazi come questi ci aiutano a capire perché c’era chi riteneva necessario cambiare quel mondo e perché negli stessi anni un membro di un piccolo gruppo religioso di nome Paolo, poi santificato, scriveva che è meglio essere tutti schiavi, ma non di un padrone terrestre, bensì di uno celeste.