Addio al giudice Coburn: una vita dedicata alla giustizia

Il giudice Carlo Spagna, soprannominato Coburn per la sua somiglianza all’attore americano, ci ha lasciato. Un uomo che ha sempre affrontato la vita con autoironia, anche di fronte alla malattia che lo ha combattuto negli ultimi anni. Ho avuto il piacere di conoscerlo oltre 30 anni fa, quando iniziai a lavorare come cronista giudiziario a Castelcapuano. La sua stanza era la prima nella struttura prefabbricata dei giudici istruttori, e molti dei suoi colleghi di allora sono rimasti suoi cari amici, come Sandro Pennasilico. La sua carriera è stata interamente dedicata al settore giudiziario, e in questa scelta si può cogliere l’uomo lontano dai riflettori, sempre alla ricerca di equilibrio sia nella professione che nella vita, che ha sempre affrontato con un sorriso nei suoi intensi 74 anni. Era un giudice con i suoi dubbi, ma anche con un’autorevolezza che suscitava il rispetto dei colleghi della Procura e degli avvocati. Ha ricoperto ruoli importanti, come presidente della quarta sezione penale al Tribunale di Napoli e presidente del Riesame a Potenza, fino ad arrivare alla presidenza della terza sezione della Corte d’Assise di Napoli.

Una carriera lunga 42 anni, come lui stesso scrisse nel suo primo libro “Teresa B.”, dedicato alla vicenda di Teresa Buonocore, una madre coraggio uccisa dopo aver denunciato il pedofilo che aveva insidiato sua figlia. Fu lui a firmare la sentenza di condanna dell’assassino, e raccontò questa storia nel suo libro, ma solo dopo il suo pensionamento nell’aprile 2019. A Potenza, durante il Riesame, decise di scarcerare un albanese che la Procura riteneva essere l’assassino di Elisa Claps. “Nell’ordinanza scrissi che la pista da seguire era molto più vicina di quanto credessero i pm, e avevo ragione”, ricordava. Come presidente della terza sezione di Corte d’Assise, emise sentenze di condanna per la scomparsa del giovane Cristoforo Oliva e per l’omicidio di Attilio Romanò, vittima innocente della camorra a Scampia.

L’ultima volta che l’ho visto è stato il 7 ottobre a Palazzo Reale, dove presentammo insieme per la terza volta in 5 mesi il suo secondo, e purtroppo ultimo, libro “Il giudice dei briganti”. Con fatica, parlò e firmò le copie con dedica individuale. Ci eravamo dati appuntamento ad Accettura, dove avrebbe dovuto presentare lo stesso libro nel giorno della sua morte. Era un ritorno alle sue radici lucane, a cui teneva tanto. Quel libro, che lo aveva aiutato ad alleggerire il suo male nelle notti insonni, è un testamento di ricordi: il fratello Michele morto, la moglie Rosaria, i figli, la masseria di famiglia ad Accettura, le tradizioni lucane. La scrittura, le presentazioni, l’impegno per le donne vittime di violenze: non voleva sprecare il tempo che gli restava, nonostante il dolore fisico. Ma non si lasciava andare all’autocommiserazione e delineava nuovi impegni per esorcizzare il nemico che non concede appelli. Nella sua casa cilentana a Palinuro, annunciava che aveva pronto un testo sulla vicenda di Elisa Claps. E forse, senza mostrarlo, rimpiangeva un po’ le corse del passato sulla sua Moto Guzzi. “Mi sento meglio, in questa giornata di sole con tanti amici”, disse il 23 settembre alla presentazione a Capodimonte. Fu il suo addio, e quel giorno c’erano davvero tante persone: giornalisti, avvocati, magistrati, amici. Sorrideva e salutava, firmando le copie. In un passaggio del libro “Teresa B.”, profetizzò la sua vita in pensione: “Non poteva più distrarsi col lavoro, che a questo serve. Ti preoccupi dei guai altrui, ti dimentichi dei tuoi”. Tra i tanti ricordi toccanti, c’è quello di Francesco Barra Caracciolo su Facebook. I funerali si terranno oggi alle 11 nella chiesa di San Francesco, in via Luca Giordano al Vomero.

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