I pezzi da novanta della criminalità organizzata casertana non stanno aspettando il Covid-19 come speranza per ottenere la scarcerazione dal regime carcerario 41 bis, né contano sull’età avanzata o su eventuali patologie per poter beneficiare delle misure detentive domiciliari. Né Francesco “Sandokan” Schiavone, detenuto nel carcere di massima sicurezza di Parma, né Michele Zagaria, attualmente a Tolmezzo, hanno presentato richiesta per ottenere i domiciliari. Si tratta di una battaglia che coinvolge i personaggi più temuti del nostro Paese, alimentando anche i populismi più scontati, ma che i due detenuti non sembrano intenzionati ad intraprendere, considerando le scarse possibilità di successo. Sandokan, 66 anni, condannato a tredici ergastoli, non presenta condizioni di salute tali da permettergli di chiedere il trasferimento ai domiciliari. Inoltre, vista la sua situazione giudiziaria ancora in corso, dovrebbe presentare le sue richieste anche ai collegi giudicanti. Anche Michele Zagaria, che compirà 62 anni il prossimo mese e sta scontando tre ergastoli, non ha presentato istanze di scarcerazione, nonostante le sue buone condizioni di salute. Entrambi i detenuti vivono in condizioni carcerarie eccezionali, con Sandokan rinchiuso nell’area riservata del 41 bis, un regime ancora più restrittivo del carcere duro.

La situazione di Pasquale Zagaria, fratello del capoclan, malato di cancro, ha scatenato polemiche a Casapesenna, la città natale di Zagaria. Il tribunale della sorveglianza di Sassari ha concesso cinque mesi di arresti domiciliari per garantirgli cure che sembravano non poter essere somministrate né in carcere né negli ospedali della zona a causa dell’emergenza sanitaria. Questa decisione ha sollevato critiche da parte di chi vive nei territori colpiti dalla criminalità dei Casalesi, sostenendo che Pasquale Zagaria potrebbe riprendere i contatti con i parenti e riorganizzare il clan dal regime degli arresti domiciliari. C’è chi ritiene che sia stato un errore permettere i domiciliari in una zona come Brescia, fortemente colpita dalla pandemia, anziché trasferirlo in strutture carcerarie del continente con reparti ospedalieri disponibili.

In definitiva, la questione della scarcerazione dei detenuti di spicco della criminalità organizzata continua a suscitare dibattiti e polemiche, con opinioni contrastanti su quale sia la decisione più corretta da prendere in casi del genere. La lotta per la giustizia e la sicurezza pubblica si scontra con il diritto alla salute, creando un dilemma complesso e delicato da risolvere.

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