La diffamazione giornalistica è un reato che ha suscitato l’interesse della Cassazione, la quale ha deciso di equiparare le posizioni dei giornalisti televisivi a quelle dei giornalisti della carta stampata. In passato, il metro di valutazione si basava sulle sensazioni del “lettore medio”, ma ora vengono prese in considerazione anche le percezioni del “telespettatore medio”.

Secondo la Suprema Corte, il carattere offensivo delle notizie diffuse tramite il mezzo televisivo può essere escluso se non sono in grado di ledere o mettere in pericolo la reputazione di qualcuno, percepita dal telespettatore medio che ascolta l’intervento nella sua interezza e valuta il contesto in cui è inserito. Non esistono ragioni per differenziare la posizione del giornalista che scrive un articolo su un giornale da quello che partecipa a un programma televisivo di approfondimento.

Il reato di diffamazione si configura solo quando il significato non diffamatorio di una frase può sfuggire alla perspicacia e alla capacità del fruitore medio, che sia lettore o telespettatore. Infatti, sia il telespettatore che il lettore possono limitarsi a leggere solo il titolo o il sottotitolo dell’articolo senza approfondirne il contenuto.

In conclusione, le ragioni che giustificano l’orientamento giurisprudenziale riguardante la diffamazione attraverso la stampa si applicano anche alla diffamazione tramite il mezzo televisivo.

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