Napoli. Alta tensione alle Case Nuove, dove da pochi giorni è tornato nuovamente a piede libero uno dei presunti pezzi da novanta della criminalità organizzata della zona. Si tratta di Gennaro Caldarelli, 56enne esponente dell’omonima famiglia di mala del quartiere, completamente scarcerato dopo l’inattesa assoluzione rimediata nel processo di appello per le estorsioni sui cantieri di via Marina.
Caldarelli in primo grado era stato condannato a ben dieci anni di reclusione, ma il presunto ras, difeso dall’avvocato Carlo Ercolino, in appello si è visto cancellare la condanna e di conseguenza, non essendo già detenuto per altri procedimenti, per lui si sono riaperte le porte del carcere. Il suo ritorno in libertà potrebbe però innescare adesso più di qualche fibrillazione negli ambienti di mala della zona.
Al centro dell’inchiesta nel quale era coinvolto Caldarelli c’era il ras Carmine Montescuro, poi scomparso qualche anno fa. Sant’Erasmo, la sua roccaforte, era una sorta di zona franca della camorra napoletana. In quel tratto di Napoli per anni si è cercata e spesso trovata la tregua tra i clan di camorra che hanno insanguinato la città con la guerra tra i cartelli di Secondigliano e dei Mazzarella. Una tregua fondata sugli affari e sul racket, gestiti da “Zì Menuzzo” che ancora lucidissimo sapeva trovare una sintesi tra le richieste di tutti i ras.
Ma grazie in particolare alla microspia piazzata nell’autovettura del suo braccio destro, le indagini condotte dai poliziotti della squadra mobile della questura e coordinate dalla Dda, nel 2019 hanno permesso di ricostruire ben dodici episodi estorsivi consumati e tre tentate estorsioni, nei confronti delle società appaltatrici dei lavori di rifacimento di via Marina, oltre che di una cooperativa di ex detenuti e di un notaio.
L’inchiesta che ha riguardato anche lavori nel porto, aveva portato all’emissione di 23 misure cautelari, i cui destinatari erano in gran parte personaggi di spicco della criminalità partenopea. Tra essi Salvatore D’Amico “’o pirata”, capo del gruppo di San Giovanni a Teduccio; Ciro Rinaldi “mauè” e Gennaro Aprea, al vertice degli omonimi gruppi camorristici radicati nella zona orientale; Mario Reale dell’omonima famiglia di rione Pazzigno; Cozzolino dei Mazzarella, Stanislao e Antonio Marigliano dei Formicola del cosiddetto Bronx; Gennaro Caldarelli e Giuseppe Cafiero delle Case Nuove così come Giuseppe Vatiero.
All’inchiesta avevano contribuito diversi collaboratori di giustizia, ma le dichiarazioni di due in particolare si sono rivelate importanti: Salvatore Maggio e Ciro Niglio. Così, tra verbali dei pentiti e intercettazioni ambientali, si è scoperto che il clan Montescuro aveva la disponibilità di una cassa comune e di armi, rapporti con le altre organizzazioni criminali, provvedeva alla difesa tecnica degli affiliati ed al mantenimento dei detenuti e delle loro famiglie, oltre che al pagamento di uno stipendio agli associati e ha la capacità di infiltrarsi nel tessuto produttivo con una notevole attività di riciclaggio. Un sistema ramificato in profondità.

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