Se esistesse una macchina mangia-burocrazia, sarebbe il caso di acquisirne una bella fornitura su scala nazionale. E mandarne qualche unità anche a Palazzo Mosti, dove si è appena consumata una vicenda dai contorni paradossali. Non sono bastati 7 mesi per portare a termine con profitto la gara relativa al progetto «Dal vetro alla sabbia, Casa dell’acqua e Mangiaplastica. Riduzione volumetrica e valorizzazione del rifiuto vetro, e riduzione dei rifiuti in plastica». Un’idea lanciata per conto del Comune da Asia, e accolta dal ministero dell’Ambiente, nell’ambito della missione 2 «Rivoluzione verde e transizione ecologica», con decreto dello scorso 14 luglio che l’ha ammessa a finanziamento per 960.972 euro. Risorse che sarebbero dovute servire a portare in città un pacchetto di apparecchiature «mangia-vetro» e «mangia-plastica», accomunate da un obiettivo «smart»: evitare a monte la produzione dei rifiuti diminuendone il volume e ottimizzando il trasporto.

Nel dettaglio, si contava di acquisire 38 trituratori per il vetro destinati alle utenze come bar, pub, ristoranti, che producono i maggiori quantitativi di imballaggi in silicio. Locali che sono, perlopiù, ubicati nei vicoli del centro storico, teatro della movida ma anche di placidi residenti tumultuosamente risvegliati alle prime luci dell’alba dallo scarico delle bottiglie nei cassoni dell’Asia. Nel progetto era compresa anche la dotazione di 3 trituratori stradali per il vetro. La fornitura comprendeva inoltre la realizzazione di 6 «Case dell’Acqua», 6 dispositivi mangiaplastica (come quello già installato in piazza Risorgimento) e 3 aspiratori elettrici per pulizie stradali. GLI STEP Tutti andati a monte in una tortuosa procedura burocratica fatta di passaggi complicati e un esito assai semplice: la gara è da rifare dopo 7, inutili mesi. Pubblicata il 17 novembre dello scorso anno, furono due le proposte pervenute allo scadere dei termini fissato per il 20 dicembre: «Eco Sistem San Felice di Napoli» e «Artide s.r.l.», con sede nel Parmense. Con determina dirigenziale del 5 gennaio, il servizio Ambiente di Palazzo Mosti decretò l’aggiudicazione definitiva alla ditta emiliana, per un importo di 670.488 euro. Sembrava fatta, dunque, mancando soltanto la canonica verifica formale dei requisiti di gara. Uno snodo rivelatosi invece fatale. Il corto circuito veniva innescato dalla richiesta di accesso agli atti della ditta seconda arrivata, istanza dapprima negata dalla stazione appaltante e poi concessa. Richiesta alla quale la «Eco Sistem San Felice s.r.l.» ha fatto seguire, lo scorso 3 febbraio, ricorso al Tribunale amministrativo regionale con istanza di annullamento di tutti gli atti di gara. Gli uffici municipali hanno intanto proseguito nelle verifiche sulla sussistenza dei requisiti delle partecipanti, e in particolare in relazione alle certificazioni di qualità necessarie per l’espletamento della commessa. Estenuante la corrispondenza tra Palazzo Impregilo e gli enti accreditati alle certificazioni (Accredia e Ll-C Certification Italy), entrambe espressesi dopo tre mesi di carteggio per la non rispondenza delle certificazioni di entrambe le concorrenti. È scattato così l’annullamento d’ufficio in autotutela, come ufficializzato dalla determina del dirigente del settore Ambiente Maurizio Perlingieri, pubblicata ieri. Il Comune ha optato in tal senso allineandosi alla giurisprudenza in materia, e in particolare alla sentenza 23 febbraio 2021 del Consiglio di Stato, che chiariva come «la verifica dei requisiti può essere ultimata anche dopo l’aggiudicazione e, pertanto, il fatto che l’efficacia dell’aggiudicazione soggiaccia alla condizione sospensiva del positivo esito di dette attività, non costituisce motivo di illegittimità dell’azione amministrativa. Sussiste, nel caso di specie, il concreto interesse della stazione appaltante a non procedere alla dichiarazione di efficacia dell’aggiudicazione dell’appalto». Tutto finito, dunque, nel trituratore della «malaburocrazia», ma senza vantaggi.

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