La sentenza del processo di I grado a carico dei minori imputati dei cosiddetti “stupri di Caivano” ha finalmente trovato una definizione. Questa vicenda, tristemente nota per l’ampio risalto mediatico che ha ricevuto, ha visto due imputati maggiorenni e sette minorenni accusati di abusi sessuali nei confronti di due bambine di 10 e 12 anni, cugine tra loro.

I maggiorenni sono stati condannati la scorsa settimana a 13 e 12 anni di reclusione, mentre i tre minorenni sono stati condannati oggi rispettivamente a 10 e 9 anni di reclusione. Tuttavia, il processo per quattro minori è stato rinviato ad ottobre in attesa della decisione della Consulta sulla costituzionalità del cosiddetto “decreto Caivano”.

Gli avvocati Massimiliano De Rosa e Fabrizio Corvino, che hanno difeso uno dei minori condannati, hanno sottolineato che Caivano non può essere preso come esempio per la devianza giovanile del Paese. È importante valutare i fatti in relazione all’ambiente in cui sono avvenuti e alle condizioni sia delle vittime che degli autori.

Secondo gli avvocati, l’approccio dello Stato dovrebbe essere maggiormente incentrato sulla prevenzione di questi fenomeni per debellare le devianze intollerabili. Aumentare la repressione non risolve il problema alla radice. È fondamentale incrementare l’assistenza sociale e psicologica per contrastare il degrado sociale in cui vivono i residenti di Caivano.

È preoccupante che le pene inflitte ai minori siano state inferiori a quelle dei maggiorenni, nonostante la gravità dei fatti commessi. È essenziale non abbandonare il principio della pena educativa per i minori, anche di fronte alla pressione mediatica e alla “vendetta” annunciata dallo Stato.

Gli avvocati De Rosa e Corvino hanno annunciato che tra 90 giorni leggeranno le motivazioni della sentenza, sperando di comprendere il percorso argomentativo che ha portato a infliggere pene che ritengono irragionevoli. È necessario riflettere su come affrontare questi casi delicati con un approccio più umano e orientato alla prevenzione.

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