Il 29 luglio 1983, una Fiat 126 verde fu imbottita con 75 kg di esplosivo davanti all’abitazione di Rocco Chinnici a Palermo. L’attentato fu orchestrato dal boss Antonino Madonia, che azionò il telecomando da un furgone rubato parcheggiato nelle vicinanze. Chinnici, un magistrato coraggioso e determinato, aveva sempre saputo di essere nel mirino delle cosche mafiose, ma nonostante ciò continuava a lavorare senza paura.

Quel giorno, Chinnici perse la vita insieme ad altre tre vittime dell’esplosione: il maresciallo dei Carabinieri Mario Trapassi, l’appuntato Salvatore Bartolotta e il portiere dello stabile in cui viveva. L’unico superstite fu l’autista Giovanni Paparcuri. I responsabili dell’attentato furono condannati solo nel 2002, dopo un lungo processo, dimostrando il coraggio e la determinazione di Chinnici che, nonostante le minacce, aveva continuato a combattere la mafia.

Rocco Chinnici, insieme ad altri magistrati come Antonino Caponnetto, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, aveva dato vita al Pool Antimafia, portando avanti una lotta senza quartiere contro Cosa Nostra. Grazie a questa collaborazione e a questa determinazione, la mafia subì un duro colpo e la lotta contro di essa ricevette una svolta decisiva.

Chinnici, nato a Misilmeri nel 1925, aveva iniziato la sua carriera nella magistratura nel 1952, arrivando a Palermo nel 1954. Durante la sua carriera, aveva condotto importanti indagini, tra cui l’inchiesta Spatola e le indagini sui delitti politici di Michele Reina, Piersanti Mattarella, Pio La Torre e Carlo Alberto dalla Chiesa.

Dopo la sua morte, i familiari di Chinnici trovarono un’agenda in cui il magistrato annotava dettagliatamente la sua situazione e le sue indagini, causando imbarazzo e preoccupazione nelle istituzioni e negli uffici giudiziari coinvolti. La morte di Rocco Chinnici fu un duro colpo per la lotta alla mafia, ma la sua determinazione e il suo coraggio rimarranno sempre un esempio per tutti coloro che continuano a combattere contro le organizzazioni criminali.

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