Nel nostro Paese, come in molti altri, l’espulsione degli immigrati irregolari colpiti da provvedimenti giudiziari è regolata da una serie di norme nazionali ed europee. Tuttavia, spesso ci troviamo di fronte a situazioni in cui queste disposizioni non vengono effettivamente applicate e le espulsioni rimangono lettera morta.
Abbiamo discusso di questo problema con l’avvocato Simone Labonia, che ci ha spiegato che la procedura di espulsione inizia con l’emissione di un provvedimento da parte del giudice o del prefetto. Questo provvedimento può essere immediatamente esecutivo oppure soggetto a ricorso, a seconda della gravità del reato e della situazione personale dell’immigrato. Una volta emesso, l’immigrato viene preso in custodia e può essere trattenuto in un Centro di Permanenza per il Rimpatrio fino all’esecuzione dell’espulsione.
Tuttavia, le principali difficoltà riguardano la cooperazione con i Paesi di origine. Spesso mancano accordi bilaterali che regolino il ritorno degli espulsi, o vi sono resistenze da parte dei Paesi di provenienza nel riconoscere i propri cittadini. Questo porta a prolungamenti dei tempi di detenzione nei CPR e, in alcuni casi, all’impossibilità di eseguire l’espulsione, con il rischio che l’immigrato torni in libertà sul territorio italiano.
Inoltre, numerosi interessati presentano ricorsi contro i provvedimenti di espulsione, sostenendo motivi umanitari o la violazione dei diritti fondamentali. Questo rende il processo ancora più complicato e lungo, aumentando ulteriormente le difficoltà nell’applicazione delle norme in materia.
A livello comunitario, la direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio stabilisce norme comuni per il rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Tuttavia, l’attuazione di questa direttiva varia da Stato a Stato, con risultati spesso disomogenei.
In conclusione, l’espulsione degli immigrati irregolari è un tema complesso che richiede una maggiore cooperazione tra i Paesi e un’applicazione uniforme delle norme esistenti. Solo così sarà possibile garantire la sicurezza pubblica e il rispetto dei diritti fondamentali, evitando che le espulsioni restino un “nulla operativo” come spesso accade.