Caro mondo troppo veloce, mi chiamo Natale. Sono nato a Roma il 25 Dicembre verso la metà del IV secolo d.C. Non mi peso mai, mi piace ridere e far sorridere, non sono solo una festa, sono molto di più. Sono lo specchio umano che riflette ed evidenzia le ingiustizie, sono la gomma temporanea che cancella le guerre, l’abbraccio che accoglie, il sole invernale che liquefa l’apocalisse. Ma ultimamente mi accade sempre più spesso di essere triste perché gli adulti hanno smesso di credere in me.

Mi chiedo dove e cosa ho sbagliato. Sono Natale stanco. Sono il cane bianco che ti guarda. Sono la voce gentile che cammina sotto l’ombrello, la fiamma gigante dei pensieri nascosti. Sono la sigaretta del padre apprensivo. Sono le mani che chiedono carità. Appartengo a tutti. Sono ignorato, sfruttato, incompreso, ma i bambini mi amano sempre, mi amano ancora.

Ogni anno sento sempre le stesse frasi: “Natale è morto”, “Ai miei tempi era un’altra cosa”, “Natale è consumismo”, “Devo fare i regali”, “Purtroppo mi tocca passare il Natale con i miei suoceri”. Tante volte ho pensato di licenziarmi, di fare un salto da Gesù e dirgli: “Amico mio, che senso ha continuare a nascere se nessuno ci pensa”? Poi mi pento, vorrei urlare ma mi trattengo, ci vuole pazienza, ho tanta pazienza.

La mia missione è seminare la magia eterna del mistero. Pertanto, distratti adulti, smettetela di agitarvi, di stressarvi. Lasciatevi accarezzare dalla poesia del Natale. Tornare per un giorno bambini vi farà solo bene, potenzierà la luce del tetto mondiale. Natale è per eccellenza il cardio rosso che sgorga sorrisi, il faro che rende visibili gli invisibili.

Ai razionali incalliti e smarriti, all’intelligenza artificiale con tutto il fiato dico: Natale non è morto e mai perirà, le belle cose restano eterne per sempre. Natale è importante, è necessario, è il pozzo della ripartenza umana, la voce della pace mondiale. Questa festa non si può spiegare, questa letizia si può solo raccontare, ogni racconto è prezioso, unico.

C’era una volta una bambina di nome Maria, come allora fermamente crede in me. Con la pioggia, il vento o la neve mi attende. La conobbi nel 1965 a Salerno, una ridente cittadina della Campania. Con la sua splendida famiglia viveva in un incantevole borgo dove il cielo si dava da fare mutando con l’ausilio del vento le nuvole. Capelli irti avevano le colline, a tratti illuminate da una luna invernale umida e seria.

La fanciulla aveva le gote rosse come le mele annurche e gli occhi verdi come il muschio. I bambini del borgo erano speciali, sapevano giocare senza giochi, sapevano quando parlare e quando stare zitti. Erano “i bambini di una volta”.

Tutti i bambini diverranno “quelli di una volta”, ci saranno sempre “i bambini di una volta”. Loro erano quelli che andavano a letto dopo Carosello, quelli che mangiavano pane, sale e olio, quelli che sotto il piatto nascondevano la letterina di Natale. Erano quelli che quando venivano puniti si nascondevano sugli alberi, assaggiando l’ebrezza dell’altezza, l’adrenalina della libertà, la rabbia per l’ingiustizia subita.

Adesso come allora in qualche casa si litiga. Adesso come allora i bambini leggono la letterina. Adesso come allora i bambini sono la mia magia.

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