Ventitré ex dipendenti della multinazionale Jabil di Marcianise sono stati vittime di un’operazione di reindustrializzazione finita nel peggiore dei modi. Considerati esuberi nell’azienda sarda Orefice, sono stati licenziati e oggi sono ancora disoccupati. Per chiedere di uscire “dall’oblio” in cui sono finiti, hanno manifestato a Napoli, sotto la sede della Regione Campania. I sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil di Caserta e le sigle sindacali dei metalmeccanici Fiom-Cgil, Fim-Cisl, Uilm e Failms hanno definito “un’ulteriore ingiustizia lasciare i lavoratori ex Jabil nell’oblio generale”. Si chiede che fine abbiano fatto le soluzioni promesse dal ministero e la newco Tme/Invitalia che doveva reimpiegare anche i lavoratori di Orefice. Si riferiscono alle tante promesse provenienti dalle istituzioni di reimpiegare i 23 ex Jabil in altre aziende, come la newco Tme-Invitalia, che dovrebbero essere coinvolte in operazioni di reindustrializzazione degli ex Jabil sulla falsariga di quanto fatto da Orefice tra il 2020 e il 2021. L’azienda sarda fu pagata dalla Jabil per ognuno dei 23 dipendenti riassunti, e sulla base di accordi avallati da Regione e ministeri, avrebbe dovuto aprire uno stabilimento nel Casertano o al massimo nel Napoletano in cui far lavorare gli addetti fuoriusciti da Jabil. Orefice affittò un capannone con l’intento di produrre generatori elettrici, ma la produzione non è mai partita, e in pochi mesi ordinò ai 23 dipendenti di trasferirsi in Sardegna; al rifiuto del trasferimento, l’azienda licenziò i lavoratori, che ora sono disoccupati.

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