Caivano – Le ragazze sono state portate qui con la scusa di poter giocare “senza essere disturbate”. Ma quello che avevano in mente non era un gioco. Sono arrivati in motorino tra le rovine del grande centro sportivo comunale Delphinia, sequestrato lo scorso 23 luglio in via d’urgenza perché luogo di ritrovo di tossicodipendenti “con il pericolo di infezioni”.
Qui, nelle ex piscine immerse nel verde, sarebbe avvenuto lo stupro che ha allineato la Campania con Palermo: questa volta le vittime sono minori, e molto più giovani della diciannovenne violentata dai sette siciliani.
Lo stupro è stato commesso da cinque minori fra i 13 e i 18 anni e un maggiorenne di 19, nel Parco Verde di Caivano. Ma il numero degli aggressori potrebbe salire. Vittime, due cuginette: una che compirà 13 anni a settembre, e l’altra, sua coetanea.
“Non ricordo bene la data – ha detto ai magistrati e al ginecologo del Cardarelli che l’ha visitata, una delle due vittime – ma due o tre mesi fa un ragazzo di 19 anni che conosco, mi ha minacciata e mi ha costretto ad avere un rapporto sessuale in una casa abbandonata”.
Ora le ragazzine hanno lasciato Parco Verde, sono in una casa famiglia, allontanate entrambe dai genitori con un provvedimento cautelare della Procura ieri convalidato dal Tribunale dei Minori “per metterle – ha scritto la Procura – in sicurezza a causa della condotta dei genitori” che, assenti, non avrebbero tutelato le figlie. La famiglia della più piccola, attraverso l’avvocato Clelia Niola, non ha fatto opposizione al provvedimento; l’altra, difesa dal penalista Angelo Pisani e dalla civilista Antonella Esposito, invece sì. Il Tribunale ha confermato l’allontanamento.
Dalla Procura e dai carabinieri che conducono le indagini non trapela nulla. Dubbia anche la notizia dell’arresto dell’unico maggiorenne. La sola certezza è la violenza compiuta all’interno delle mura dell’isolato Delphinia Sporting Club. Questa megastruttura doveva essere il centro sportivo per i giovani che Caivano – Comune ora commissariato e da sempre carente di servizi – non aveva mai avuto. Ma è stato abbandonato e devastato. Ora è ricettacolo di rifiuti e di qualsiasi attività da compiere lontano da occhi “indiscreti”.
“Ci è morto un ragazzo di overdose, l’hanno trovato giorni dopo”, dice Giuseppe, che divide il Parco Verde in due parti: “Quella con le case verdi, dove siamo tutti napoletani sfollati dal terremoto e dovevamo tornare dopo 5 anni e invece siamo rimasti qui. E quella con le case di mattoni, il Bronx, dove noi non andiamo mai”. Un confine molto sottile.
Da qualche anno “i capannoni”, più vicini al Bronx, sono un luogo d’orrore. Una prima bonifica ha liberato i blocchi che compongono la struttura. Ma nessuno ha eliminato i vetri rotti sui pavimenti divelti, le porte non esistono più da qualche anno, i fili elettrici sono stati strappati e tirati giù. Una transenna arancione sbarra la strada dopo il sequestro, ma una parte del complesso era già interessata da un cantiere ora bloccato.
Su un cancello c’è scritto Caivano Arte, quindi si entra nella prima costruzione, poi si accede a un piazzale-atrio antistante a tutte le strutture. Nei pressi degli spogliatoi della piscina, dei divani capovolti e materassi da palestra sul pavimento: l’ambiente ideale per “notti tossiche”, ma anche per una violenza di gruppo. Nella piscina calcinacci e vetri e sulle mura scritte e svastiche.
Andando avanti nei corridoi si entra in un’altra zona di palestra, preceduta da poster giganti di belle donne che fanno fitness: gli unici in buono stato. Di porta in porta, si arriva a una immensa palestra, tutta bruciata, inutilizzabile e vandalizzata col fuoco, dove forse si accendevano falò di notte.
Su una grande parete una foresta di specchi in frantumi rimandano l’immagine della persona come in un castello degli orrori che contrasta con la grande scritta “Ti amo” sul muro dell’ultima sala. Una tour surreale: quando un edificio va in rovina, resta in piedi a oltranza, come uno zombie.
I palazzetti sportivi semidistrutti distano 500 metri dal Bronx-Parco Verde: tre isolati con palazzi di 8 piani. In uno abitava Fortuna “Chicca” Loffredo, lanciata – dopo essere stata violentata – dall’ultimo piano dell’isolato numero 3, a 6 anni, il 24 giugno del 2014: tre anni dopo per l’omicidio e le violenze viene condannato all’ergastolo Raimondo Caputo, vicino di casa. Ha abusato anche della figlia avuta con Marianna Fabozzi, condannata a dieci anni per complicità nella violenza. Assolti, invece, entrambi, per la morte del piccolo Antonio Giglio, figlio della Fabozzi, caduto anche lui da una finestra dello stesso palazzone Iacp di Caivano, a 3 anni l’anno prima di Fortuna.