L’omicidio avvenuto a Battipaglia la scorsa settimana ha scosso profondamente il nostro paese. Una donna è stata accoltellata dal marito, una brutta notizia che ha fatto il giro dei media nazionali. È importante soffermarsi su questo fatto, perché quando un reato viene commesso da una persona che viene considerata “per bene e tranquilla”, è nostro dovere cercare di capirne le motivazioni. Soprattutto quando, in seguito, lo stesso omicida tenta di togliersi la vita in carcere. Questo gesto di autolesionismo ci fa riflettere sul fatto che il colpevole non è una persona abituata a delinquere. Chi è abituato a farlo non si fa prendere dai rimorsi così immediatamente. Chissà quale sia la vera storia dietro a questo terribile evento. Ma mai come in questo caso possiamo affermare che le vittime sono entrambi i coniugi. I vicini di casa hanno parlato di lunghi periodi di litigio, quindi possiamo immaginare che il colpevole sia stato trascinato in un terreno di instabilità emotiva e psicologica, le cui motivazioni non possiamo conoscere.
Proviamo, con l’aiuto degli esperti collaboratori dello Studio Legale Labonia, ad affrontare il delicato argomento dei suicidi in carcere. Partiamo da uno studio condotto dal Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia che dimostra come il problema non sia limitato alla nostra realtà carceraria, ma sia presente in tutta Europa, dove i numeri sono mediamente più alti che da noi. Questo non è certo una consolazione, perché troppi sono coloro che si tolgono la vita nelle nostre carceri. Nel 2022, un “annus horribilis”, sono stati ben 82 i suicidi, e ad oggi, nel 2023, sono già 47 i deceduti. Questi numeri allarmanti fanno sembrare il fenomeno quasi una quotidianità, causata dalle difficili condizioni dei nostri istituti di pena. Chi si toglie la vita in carcere sembra voler rivendicare il proprio “status” di individuo, nonostante i trattamenti umilianti subiti. Inoltre, gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di vigilare sulla salute dei detenuti, per cui ogni suicidio è considerato un fallimento dell’organizzazione. Senza dubbio, ci sono molteplici fattori sociologici che portano a compiere questi gesti estremi. Tuttavia, l’impressione che emerge da questa analisi è che spesso non sia la paura del carcere a spingere verso l’atto estremo, ma la paura di ciò che ci aspetta al di fuori. Questa considerazione è supportata dalle statistiche, secondo cui molti suicidi sono stati compiuti da detenuti che avevano solo pochi mesi di carcere da scontare.

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