Una staffetta di vetture noleggiate con conducente a bordo. Ma anche telefonini cellulari dedicati e un pacco di soldi di cui disporre a stretto giro. Questi erano gli argomenti di cui parlavano la sorella e la compagna del boss dei capitoni Giuseppe Lo Russo, pochi giorni prima della sua scarcerazione. Queste parole sono state intercettate dalla Dda di Napoli, che hanno spinto gli investigatori a emettere un mandato di arresto per il capoclan. La Procura di Napoli sottolinea l’urgenza del pericolo di fuga, facendo riferimento a queste conversazioni tra le due donne, entrambe legate sentimentalmente e familiarmante al presunto capoclan. Secondo l’inchiesta condotta dai pm Celeste Carrano e Maria Sepe, c’è la convinzione che il boss volesse lasciare l’Italia, considerando la rete di supporto organizzata attorno ai suoi spostamenti: erano state previste alcune auto a noleggio con conducente per realizzare una sorta di staffetta, grazie anche all’uso di telefoni cellulari dedicati. Inoltre, c’è un riferimento esplicito ai soldi, che una delle donne rivolge a un interlocutore, in vista dell’evento della scarcerazione.
Difeso dagli avvocati Antonio Abet e Domenico Dello Iacono, Giuseppe Lo Russo potrà replicare alle accuse durante l’udienza di convalida del fermo, che si terrà questa mattina a Novara. Al centro del confronto c’è una circostanza che non può essere ignorata, almeno secondo la ricostruzione degli investigatori: il prossimo 18 ottobre, Giuseppe Lo Russo è atteso in tribunale, insieme ad alcuni presunti responsabili degli omicidi della cosiddetta faida del principino, il figlio di una delle sorelle Licciardi, avvenuto a Secondigliano alla fine degli anni ’90. Gli inquirenti scrivono: “Di fronte al rischio di ricevere una condanna all’ergastolo, Giuseppe Lo Russo stava meditando la fuga lontano da Napoli”. Quindi, oltre al rischio di ergastolo, alle prove di fuga e al blitz della squadra mobile, quali sono le accuse mosse contro Giuseppe Lo Russo? Gli vengono contestati due omicidi. Risalgono a un periodo lontano, ma sono stati ricostruiti grazie alle testimonianze dei collaboratori di giustizia. Si tratta degli omicidi di Angelo De Caro, avvenuto a Miano il 6 giugno 1990, e di Pasquale Bevilacqua, avvenuto il 6 febbraio 1991. Il primo delitto sarebbe stato commesso da Ettore Sabatino su mandato di Giuseppe Lo Russo, su richiesta del boss Gennaro Licciardi. Il movente era colpire gli ultimi cutoliani, per prendere definitivamente il controllo del rione Berlingieri, destinato a diventare un avamposto dell’Alleanza di Secondigliano. Il secondo omicidio, quello di Bevilacqua, aveva un movente diverso. La vittima era stata sposata per 14 anni con una sorella dei Lo Russo, ma aveva interrotto la relazione. Poi si era alleato con i Licciardi, che lo avevano consegnato ai rivali dei Lo Russo per una questione di ragion di Stato. Sono storie di camorra vecchie di trenta anni che oggi si attualizzano con l’arresto di Giuseppe Lo Russo. L’appuntamento in tribunale per la faida del principino sarà quando i vertici del sistema criminale napoletano saranno chiamati a rispondere di quei dieci morti causati da una banale lite all’esterno di una discoteca. Sono veleni di un passato che oggi si scontrano con le presunte prove di fuga di un boss tornato libero dopo un quarto di secolo di carcere duro.