Camici bianchi in trincea: Capodanno in pronto soccorso? E come essere in guerra. Le emozioni personali, le difficoltà del lavoro, le attese e le speranze di medici e infermieri chiamati a fronteggiare la follia di un giorno si accavallano in un tumulto in cui prevale sempre la missione della cura, la forza del gruppo, la spinta a fare qualcosa per spiegare di più e raccontare meglio le tragedie a cui si è assistito affinché non ci siano più esiti irreparabili.

«È la forza del gruppo che ci consente di superare ogni ostacolo – avverte Mena Liccardi, primario del pronto soccorso del Cardarelli». «Ci si prepara come per una maxi emergenza – aggiunge Mario Guarino, reduce da una notte al telefono a guidare il suo gruppo di medici in prima linea al Cto – ma sembra di non fare mai abbastanza se le cose vanno male».

Una squadra quella del Cto, formata da Maria Gabriella Monsurrò, Francesca Paudice, Giovanni D’Angelo della medicina di urgenza. «Da un punto di vista pratico cambia poco rispetto alle notti degli altri giorni dell’anno – spiega Guarino – ma poi sappiamo per esperienza che quello di Capodanno sarà un turno di lavoro diverso. Cambia la tipologia degli accessi e ci prepariamo a fare fronte soprattutto ai traumi, alle ustioni, alle crisi da inalazione di fumo. Abbiamo per questo organizzato la postazione come se dovessimo fronteggiare una maxi emergenza prevedendo in reparto un ortopedico e un chirurgo della mano. La serata – racconta ancora lo specialista – è iniziata con vari accessi di pazienti per insufficienza respiratoria, poi sono arrivati dei ragazzi con ustioni di II grado alla mano. Nella nottata altri sette feriti di cui alcuni al volto. Mi ha colpito, da padre, dover soccorrere due 14enni spaventati, doloranti, avviliti. Manca un pezzo di educazione familiare. Tanti anche gli incidenti stradali dovuti a questa notte di follie. Tutti ragazzi e giovani che sperimentano la vita adulta con un costo molto alto che può cambiare il loro destino. Dalle 8 del 31 alle 8 del primo dell’anno abbiamo contato circa 120 accessi. Siamo stremati. La vera festa per noi? Aver strappato alla morte una donna di 74 anni venuta dopo la mezzanotte con dolore toracico poi andata in arresto cardiaco per due volte. L’abbiamo rianimata e inviata all’unità coronarica del Monaldi. È salva e i familiari ci hanno ringraziato. Il più bel regalo. Abbiamo brindato per lei».

Ma non sempre c’è il lieto fine: al Cardarelli una 45 enne di Afragola colpita di un proiettile alla testa è morta. «Non sappiamo se questo sia stato causato dai botti di Capodanno – dice il primario Mena Liccardi – casi che segnano di tristezza il lavoro di una notte in cui si accavallano pensieri personali, ricordi, emozioni, che poi però fanno posto all’esigenza di fare presto, decidere, curare, salvare vite. Quella donna è arrivata da noi in condizioni gravissime, non c’era nulla da fare. Ci chiediamo chi era, che vita aveva, chi lascerà. Per il resto non abbiamo avuto grossi problemi, a differenza degli altri anni. Pochi gli accessi legati agli scoppi dei petardi, una netta riduzione generale nell’arco delle 24 ore. Dalla mezzanotte del 31 abbiamo contato 56-59 pazienti in tutto senza grossi problemi tranne il caso tragico. Due o tre persone che avevano bevuto troppo trattati in pronto soccorso e poi dimessi».

Di turno al Cardarelli quattro medici: Giuseppe Sasso, Stefania Usiello, Francesca Ciorra e Alessio Barletta insieme a undici infermieri e altri operatori con una guardia ortopedica, oculistica e otorino rimaste per fortuna inoperose e la disponibilità di un chirurgo vascolare e plastico. «Chi lavora in Pronto soccorso sa di dover svolgere un lavoro particolare – conclude la primaria – a Capodanno, a mezzanotte, forse sopraggiunge un po’ di tristezza per avere la famiglia lontano ma si sopperisce sapendo che siamo in tanti a condividere la stessa missione e lo stesso turno. Prevale lo spirito di gruppo e insieme si trascorre la mezzanotte anche per un brindisi in cui ciascuno si augura che morti evitabili come quella appena vista scorrere dinanzi a noi non si debbano più piangere e soccorrere. Eventi che uniscono il gruppo ancora di più con l’obiettivo comune di salvaguardare la vita dei pazienti».

Il grosso dei colpiti da esplosioni di petardi è arrivato al Pellegrini. Qui anche l’approdo della donna di Forcella raggiunta da una pallottola vagante. «Di turno dalle 8 della sera del 31 alle 8 del mattino successivo siamo stati in otto infermieri, due chirurghi a cui si sono aggiunti due internisti e altri due chirurghi di urgenza oltre che medici del pronto soccorso oculistico e chirurghi della mano – spiega Stefano Napolano, infermiere dell’ospedale della Pignasecca – abbiamo superato bene una notte particolarmente difficile ma non è una novità per chi fa questo mestiere ormai da molti anni – aggiunge l’infermiere – quello che mi ha colpito di più, se devo dirla tutta, è un paziente trasferito da Caserta ferito gravemente agli occhi dallo scoppio di un petardo. Non so come sta ma potrebbe perdere la vista, il trauma è stato violento. Casi che fanno riflettere. Quella persona un attimo prima stava festeggiando in famiglia e con gli amici e poi ora dovrà affrontare una tragedia che gli cambierà la vita. Se la gente potesse trascorrere una notte di Capodanno in ospedale o vedere dal vivo quello che succede nessuno più sparerebbe i botti. In questi casi è dura pensare al prima e al dopo di queste persone che per togliersi lo sfizio di festeggiare con i fuochi non saranno mai più come prima. Ho 33 anni – conclude Napolano – una bambina di due anni e una moglie. È il mio primo Capodanno di turno. Ho visto troppi feriti. A mezzanotte: abbiamo fatto un piccolo brindisi ma dopo tre minuti è arrivata la donna con una pallottola in addome».

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