La mia vita è iniziata dopo la fine della seconda guerra mondiale e ho avuto la fortuna di vivere la prima parte della mia vita in un ambiente sicuro e con un benessere accettabile. Non voglio dire che non ho mai avvertito le difficoltà economiche, perché ci sono state eccome, ma fino all’adolescenza non ho mai avuto una reale consapevolezza della violenza, tranne quando mi sono trovato involontariamente coinvolto in una manifestazione a favore di Trieste.
Ho avuto una percezione del fascismo e della guerra attraverso i racconti dei miei familiari, in particolare di mia madre e degli altri membri della sua famiglia. Mio zio Aldo, in realtà chiamato Gesualdo, aveva combattuto sul fronte greco ed era tornato ferito, tanto che le conseguenze di quei traumi lo portarono alla morte alcuni anni dopo.
I racconti erano più duri per coloro che li raccontavano, ma per me, ancora troppo giovane per comprendere appieno il significato doloroso che contenevano, non erano chiaramente percepibili. Parlavano della paura durante i bombardamenti, in particolare quelli che colpirono la fascia costiera, essendo Napoli una città portuale. I racconti dei morti per strada e della descrizione del palazzo di fronte a noi che venne colpito da una bomba alleata, completamente distrutto nella sua parte centrale con la morte di molti conoscenti, erano quelli che suscitavano in me le maggiori emozioni, perché sembrava incredibile che cose del genere potessero accadere.
Nei racconti entrava anche Papele, il Fox Terrier che consideravo il mio cane, ma che in realtà apparteneva alla famiglia di mio zio Antonio. Quest’ultimo ce lo lasciò per cercare di cancellare il ricordo di un tempo felice con sua moglie e suo figlio, e Papele morì quando il bambino aveva solo due anni.
Papele era stato compagno d’avventura di mio zio che viveva a Roma; durante la guerra lo seguiva mentre affiggeva manifesti antifascisti di notte e faceva da sentinella per avvisarlo nel caso qualcuno si avvicinasse, dal momento che mio zio aveva nascosto alcuni suoi amici ebrei che erano sfuggiti ai nazisti.
Ascoltavo quei racconti con la stessa curiosità e interesse con cui ascoltavo le favole e ci sono voluti molti anni per elaborare il significato di quei racconti.
I libri, la scuola, i filmati, nel corso del tempo mi hanno permesso di formarmi una solida coscienza basata sui concetti di libertà e tolleranza e, con il passare degli anni, quei ricordi si sono manifestati come solidarietà e condivisione delle sofferenze di persone sconosciute coinvolte in situazioni simili. In particolare, durante l’invasione della Cecoslovacchia da parte dei Russi, ricordo che un mio amico ha portato in Italia una sua amica che poi ha sposato, per salvarla da quella tragedia.
Andando avanti nel tempo, ho vissuto gli anni di piombo, con l’efferatezza delle azioni dei “compagni che sbagliano”, secondo una tragica e credo cinica visione di alcuni commentatori del PCI e dell’estrema sinistra, e con mio stupore sono stato coinvolto in una Risoluzione Strategica della colonna romana delle Brigate Rosse, che mi ha fatto rendere conto della fragilità delle condizioni di vita di ognuno di noi.
In seguito, ho vissuto l’esperienza di periodi in zone di guerra in Medio Oriente e in Africa, durante e subito dopo la fine ufficiale delle ostilità, anche se di fatto la guerra continuava. Ho visto di persona la sofferenza e le distruzioni, ho visto crescere in me il profondo disprezzo per l’ipocrisia dei politici e delle persone che li seguono come topi del pifferaio magico.
Ho un amico molto diverso da me: è romano mentre io sono napoletano, è ingegnere mentre io sono un economista, è bruno e più basso di me, a differenza di me che ho la pelle chiara e un tempo ero biondo con gli occhi azzurri; io ho una certa tendenza all’essere sovrappeso mentre lui no, ma forse abbiamo in comune una cosa, ovvero la stessa scala di valori.
Siamo stati e siamo amici nonostante siano passati molti anni dalla nostra conoscenza, prima che io capissi che avremmo dovuto avere una diversa valutazione del mondo che ci circonda, perché io, agnostico di origine cristiana, e lui ebreo, è una grave colpa nell’ipocrita mondo in cui viviamo.
Ho conosciuto la sua storia, che ancora oggi racconta a 85 anni andando nelle scuole per sensibilizzare i ragazzi, ancora più lontani di quanto lo fossi io alla loro età, rispetto agli avvenimenti del 16 ottobre 1943, quando i nazisti rastrellarono il Ghetto di Roma portando via uomini, donne e bambini. Erano 1259 persone, di cui 689 donne, 363 uomini e 207 bambini: solo 16 di loro sono tornati, 15 uomini e 1 donna.
In questi giorni ho visto scatenarsi i nuovi nazisti, ancora più crudeli se possibile di quelli del passato, e sento il bisogno di citare le parole del mio amico, dell’uomo, Nando Tagliacozzo, che ha scritto tra le sue memorie alcune parole che valgono sempre, in ogni luogo e in ogni tempo, per ogni uomo che vive sulla terra.
“A volte il destino si ferma su un pianerottolo, a due metri da te. Il destino sceglie. Non bussa alla tua porta, ma a quella accanto, dove ci sono tua sorella di otto anni e tua nonna: e le porta via, per sempre. Tu sei a un soffio da loro, la porta accanto è quella che ti salva dall’oblio. E la tua vita si gioca in quel metro che ti separa da quella porta sullo stesso pianerottolo. E il destino ti lascia vivere. Forse ha scelto te, in memoria di milioni di morti. Dovrai testimoniare, fino a quando avrai fiato in gola.”
Credo che dovremmo farlo tutti, fino a quando avremo fiato in gola.
(Ottant’anni dopo, ma anche otto giorni dopo)
*Giuseppe Moesch, già professore ordinario presso l’Università degli Studi di Salerno

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