Una morte piena di misteri e di sospetti ha scosso l’emergenza carceraria a Napoli all’inizio di questo nuovo anno. Si tratta della morte di un giovane detenuto di Poggioreale. Nella sua cella, alla vigilia dell’Epifania, è stato trovato il corpo senza vita di Alexandro Esposito, un uomo di 33 anni di Secondigliano che era in attesa di giudizio e si trovava in custodia cautelare nel padiglione Napoli.
Quando è scattato l’allarme per il giovane, purtroppo era troppo tardi. I tentativi di rianimarlo sono stati inutili: il medico dell’Asl intervenuto alle 9:45 del venerdì ha potuto solo constatare la morte e inviare gli atti alla Procura. E ora, per le ragioni che vedremo tra poco, le domande e i dubbi su come Alexandro sia morto aumentano. Iniziamo con un dettaglio molto importante riportato nella relazione scritta a mano dal medico intervenuto per certificare la morte.
“Nel momento in cui sono intervenuto – si legge – ho trovato il paziente riverso su una barella all’esterno dell’infermeria del piano terra, pronto per essere trasportato. Il paziente era in rigor mortis”. Il corpo senza vita era già rigido, segno evidente che la morte era avvenuta diverse ore (se non molte) prima, in un arco temporale che va dalle 18:00-19:00 della sera precedente alla scoperta, avvenuta solo dopo le 8:00 del mattino successivo (e non prima delle 9:20).
La cella occupata da Esposito, che era ospite di Poggioreale in attesa del terzo grado di giudizio per reati comuni, ospitava almeno altre due persone. È possibile che nessuno dei suoi compagni di cella si sia accorto di nulla di fronte a un improvviso malore del 33enne? Non si sono svegliati per i suoi lamenti? C’è anche un secondo dettaglio riportato dal medico dell’istituto “Salvia” di Poggioreale: durante la ricognizione sul corpo senza vita, il dottore ha certificato che Esposito aveva anche “materiale scuro liquido che fuoriusciva dal cavo orale. Sangue? Altra materia organica?”. Gli esami scientifici successivi avrebbero anche evidenziato segni di un forte ematoma sul corpo.
Le indagini sono coordinate dalla Procura di Napoli. Dall’autopsia che si svolgerà lunedì dovrebbero arrivare conferme ai sospetti che nessuno ha ancora il coraggio di chiamare con il loro nome: omicidio. Sì, perché, almeno da una prima valutazione, sembra escludere che Alexandro Esposito sia morto per cause naturali o per suicidio. E a questo punto, le nebbie del mistero si addensano all’interno di quella maledetta cella, le cui mura e gli occupanti restano gli unici custodi della verità. Già interrogati tre giorni fa, saranno interrogati nuovamente nelle prossime ore.
Come accade sempre in questi casi, oltre all’indagine giudiziaria ordinaria, è stata aperta un’inchiesta amministrativa interna al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per affrontare le carenze strutturali e croniche di Poggioreale (definito il carcere più sovraffollato d’Italia, e forse d’Europa). Il Ministero della Giustizia, insieme al Dap e grazie alla gestione intelligente e concreta del direttore Carlo Berdini, sta facendo fatica a risolvere questi problemi. Sono già stati completati lavori di rifacimento di alcuni padiglioni e altri sono in corso (tra cui il settore “Napoli”, dove era detenuto Esposito).
I sindacati di Polizia Penitenziaria tornano a parlare delle gravi carenze del sistema carcerario: domani, alle 10:30, la sigla SPP ha convocato una conferenza stampa davanti al carcere “Salvia”. “Ieri – spiega il garante regionale dei detenuti, Samuele Ciambriello – mi sono fermato a riflettere e pregare davanti alla cella dove è stato trovato morto Alessandro, ho parlato con i suoi due compagni di cella, con gli altri del reparto, moltissimi malati, tre su una sedia a rotelle. Le indagini in corso chiariranno le cause della morte. Le carceri italiane e campane sono piene di detenuti tossicodipendenti e malati psichici denunciati dai familiari. L’assenza dei servizi, i fallimenti in alcuni casi di Sert e Dipartimenti di salute mentale sono sotto gli occhi di tutti. Servono politiche attive di inclusione sociale. Sentiamoci tutti un po’ responsabili di queste morti e di queste solitudini”.

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