Napoli è attualmente teatro di una riorganizzazione dei nuovi gruppi criminali per il controllo del territorio, principalmente legati al traffico di droga. I “baby gangster” di oggi girano armati e pronti a sparare, con il cellulare sempre connesso ai social network per diffondere le loro attività criminali sul web. Non hanno una strategia definita e spesso sono consumatori di droghe, rendendo difficile comprendere le loro mosse.
Basta un semplice gesto di mancato rispetto o uno sguardo verso una donna del gruppo per scatenare la loro violenta rabbia, che può arrivare a conseguenze estreme. Anche i boss dei clan storici li guardano di traverso (sebbene li utilizzino per i loro regolamenti di conti) perché spesso attirano l’attenzione sui loro affari illegali.
Ci troviamo di fronte a ragazzi che vedono nella violenza l’unico modo per riscattarsi socialmente. Impugnano le pistole e sparano in pieno giorno nelle strade affollate, senza pietà e accettando il rischio di uccidere anche passanti innocenti. Napoli e alcune zone off-limits della Campania, come ad esempio la provincia di Caserta, registrano livelli di criminalità minorile violenta tra i più alti d’Italia. Gran parte di questa brutalità è collegata al potere e all’influenza delle bande criminali minorili, chiamate “paranze”. Questi gruppi si organizzano in formazioni diverse, simili a piccoli gruppi localizzati nei quartieri. Naturalmente, esistono anche imprese criminali internazionali sofisticate, con diverse organizzazioni che esercitano un controllo sociale e politico su una vasta gamma di territori e persone in Campania. Tuttavia, il problema più evidente oggi rimane quello delle baby gang. Comprendere queste complessità articolate e uniche è fondamentale per promuovere politiche e interventi in grado di contrastare la violenza minorile che affligge gran parte del territorio regionale. È necessario agire sulla prevenzione, ma su questo aspetto devo dire che siamo molto indietro. Non vedo una strategia definita da parte delle istituzioni competenti.

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