Sei persone sono state messe sotto accusa dai militari del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli per vari reati, tra cui associazione per delinquere, truffa aggravata per il conseguimento di fondi pubblici, usura, estorsione, attività finanziaria abusiva e riciclaggio di denaro.
Le indagini hanno rivelato che 285 cittadini extracomunitari avrebbero ricevuto indebitamente oltre 2,3 milioni di euro attraverso il Reddito di Cittadinanza, dichiarando falsamente di vivere in Italia da almeno dieci anni. Il gruppo criminale avrebbe anche commesso altre attività illegali, come l’esercizio abusivo di attività finanziaria e il prestito a tassi di interesse usurari che variavano dal 30% all’800% a 15 persone in difficoltà finanziaria, talvolta minacciandole e usando violenza quando non rispettavano le scadenze dei pagamenti. Durante le perquisizioni, sono stati sequestrati appunti scritti a mano, circa 92.000 euro in contanti, assegni bancari e titoli cambiari per un totale di circa 158.000 euro.
Quattro indagati sono stati posti in custodia cautelare in carcere e due agli arresti domiciliari. È stato anche eseguito il sequestro preventivo di disponibilità finanziarie, nonché di beni mobili e immobili per un valore totale di circa 90.000 euro. Durante le indagini, era già stato sequestrato l’intero capitale sociale e l’azienda delle società degli indagati. Le indagini sono state avviate a seguito di controlli su numerosi cittadini stranieri senza lavoro o assistenza dall’Inps, che richiedevano il codice fiscale poco prima di presentare domanda per il reddito di cittadinanza e che, ottenuto il beneficio, utilizzavano le carte Postepay RdC per fare acquisti presso lo stesso negozio, a volte nello stesso giorno e a orari ravvicinati.
Gli approfondimenti hanno rivelato che il negozio, situato a Napoli, era la sede operativa di un’organizzazione criminale che permetteva a un vasto gruppo di individui di eludere le restrizioni per l’uso corretto del reddito di cittadinanza attraverso l’acquisto simulato di prodotti alimentari, seguito dalla restituzione in contanti dell’importo pagato, con una percentuale tra il 10% e il 20% trattenuta dagli organizzatori del gruppo. Questi ultimi avrebbero emesso false fatture attraverso una società collegata, che non aveva una reale attività operativa, per giustificare il volume anormale delle vendite effettuate. Inoltre, avrebbero reinvestito i proventi dell’attività illecita versando caparre per acquistare immobili intestati alle rispettive consorti.