L’attacco dei garibaldini al Monarca, l’ammiraglia della flotta delle Due Sicilie, non avrebbe dovuto incontrare resistenza. Secondo lo storico Giacinto de’ Sivo, il piano era stato preparato da un ufficiale della Marina napoletana, Manzi, che era passato ai piemontesi e si era trasferito a Castellammare di Stabia fingendosi un commerciante di olio. Anche il comandante del Monarca, il capitano di vascello Giovanni Vacca, si era già accordato con il Piemonte e la mattina del 13 agosto 1860 aveva ordinato di staccare le catene di ferro che ancoravano la nave e di assicurarla solo con corde di canapa.

Nella notte tra il 13 e il 14 agosto, con la scarsa vigilanza e i marinai che dormivano, la nave inviata da Garibaldi riuscì ad avvicinarsi e tentò l’abbordaggio. Tuttavia, una catena di ferro ancora tratteneva il Monarca e gli assalitori, nel tentativo di staccarla, destarono una sentinella che diede l’allarme. I marinai borbonici aprirono il fuoco sui garibaldini già a bordo, mentre i soldati accorrevano. Anche i cannoni del forte spararono sette colpi.

La sorpresa fallì e l’attacco si concluse con cinque morti e 15 feriti tra garibaldini e piemontesi, e un morto e tre feriti tra i napoletani. Una barca fu catturata, un’altra fu trovata affondata nei pressi di Vico Equense. La nave degli assalitori riuscì a fuggire nel buio, mentre il Comandante del Monarca fuggì su una nave inglese.

Questo episodio, narrato da fonti dell’epoca come Giacinto de’ Sivo, ci mostra la complessità e l’incertezza degli eventi storici, dove le alleanze e i tradimenti si intrecciano in una trama intricata. La storia dell’assalto al Monarca rappresenta un momento significativo nella lotta per l’unità d’Italia, evidenziando le difficoltà e le insidie che caratterizzarono quel periodo di trasformazione e cambiamento per la penisola.

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