Il Patteggiamento: un’istituto controverso della giustizia italiana
Il caso dell’ex governatore della Liguria Giovanni Toti, che ha chiesto al Giudice per l’Udienza Preliminare di trasformare la sua possibile condanna a 2 anni + 1 mese di carcere in 1.500 ore di lavori socialmente utili, ha scatenato una serie di reazioni nel panorama politico nazionale.
Il Patteggiamento, introdotto nel 1987 e perfezionato nel 2003, è un istituto che consente all’imputato e al pubblico ministero di chiedere al giudice l’applicazione di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, o di una pena detentiva. Tuttavia, ci sono delle limitazioni e esclusioni per determinati tipi di reati.
Il Patteggiamento dovrebbe essere uno strumento per consentire a chi si trova per la prima volta coinvolto in un procedimento giudiziario di uscirne nel minor tempo possibile, come un purgatorio tra l’inferno e il paradiso. Tuttavia, negli anni è stato oggetto di controversie e interpretazioni contrastanti.
Nel caso di Toti, la richiesta di patteggiamento sia da parte dell’indagato che del PM potrebbe indicare una volontà di evitare un lungo processo e di uscire “bianchi come un giglio” da questa vicenda. Tuttavia, la percezione comune che il patteggiatore sia colpevole non sempre corrisponde alla realtà.
In 37 anni di applicazione della legge sul Patteggiamento molte cose sono cambiate, e l’istituto è stato utilizzato in modo sempre più ampio, anche per delinquenti incalliti. È importante riflettere sulle implicazioni etiche e giuridiche di questa pratica e sul suo impatto sulla percezione della giustizia in Italia.