Ventuno anni dopo l’omicidio di don Peppe Diana, il prete simbolo della lotta alla camorra, finalmente giunge una sentenza che condanna per diffamazione chi ha osato macchiare il suo nome. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha inflitto una pesante condanna alla Libra Editrice, proprietaria dei quotidiani Cronache di Caserta e Cronache di Napoli, per aver diffamato il sacerdote in un articolo del 2003.
Nell’articolo incriminato, don Diana veniva falsamente accusato di essere un camorrista e di custodire armi per conto del clan dei Casalesi, un’accusa grave e infamante che mirava a screditare la figura di un uomo che aveva dedicato la sua vita alla lotta contro la criminalità organizzata. La famiglia Diana, devastata dal dolore e dalla rabbia, aveva presentato denuncia subito dopo la pubblicazione dell’articolo, ma la giustizia è arrivata solo ora, a distanza di oltre due decenni e dopo la morte dei genitori del sacerdote.
Come sottolinea Roberto Saviano nel suo articolo sul Corriere della Sera, questa sentenza rappresenta un importante riconoscimento del valore e dell’integrità di don Peppe Diana. Tuttavia, non può cancellare il dolore causato alla famiglia e alla comunità di Casal di Principe.
L’accusa di essere un camorrista non è stata un caso isolato. Nel corso degli anni, la figura di don Diana è stata oggetto di una campagna diffamatoria volta a screditarlo e a indebolire la sua azione. È importante ricordare che don Peppe Diana amava ripetere la frase “A voi le pistole, a noi la parola”, sottolineando l’importanza della parola e dell’educazione nella lotta alla mafia.
Nonostante il tempo trascorso, la memoria di don Peppe Diana continua a vivere e a ispirare le nuove generazioni. La sua lotta contro la camorra rimane un esempio per tutti coloro che credono in un futuro migliore e in una società più giusta.