Il processo in corso riguardante il carcere di Santa Maria Capua Vetere ha portato alla luce dettagli inquietanti sulle gravi violenze avvenute durante la pandemia da Covid-19. La testimonianza dell’ex capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Francesco Basentini, ha rivelato le difficoltà organizzative e il disinteresse dei vertici nei confronti delle problematiche vissute dalla struttura durante il lockdown.
Basentini ha evidenziato come il carcere fosse già in difficoltà prima dell’emergenza sanitaria e come la situazione sia peggiorata durante il Covid. Il trasferimento di detenuti coinvolti in rivolte violente da altri penitenziari italiani ha contribuito a creare tensioni che hanno portato a episodi tragici di violenza all’interno del carcere.
La mancanza di comunicazione e la gestione carente hanno fatto sì che la struttura fosse praticamente abbandonata dalla dirigenza, con un vuoto di leadership che ha favorito il caos e le tensioni interne. Il processo in corso coinvolge 105 imputati, in gran parte agenti penitenziari, funzionari del Dap e medici dell’Asl di Caserta.
La testimonianza di Basentini ha messo in luce l’inaffidabilità e la scarsa organizzazione del sistema penitenziario durante la pandemia, mettendo in discussione le responsabilità dei vertici del Dap. Le domande al testimone proseguiranno il 13 gennaio, con l’obiettivo di approfondire ulteriormente le criticità vissute dal carcere durante il lockdown.
Il caso di Santa Maria Capua Vetere solleva interrogativi sulle condizioni di vita dei detenuti e sulle carenze strutturali del sistema penitenziario italiano. Il processo in corso potrebbe rappresentare un punto di svolta nella lotta per i diritti umani all’interno delle carceri, evidenziando la necessità di un cambiamento e di un maggiore rispetto per la dignità e i diritti dei detenuti.