La Corte di Assise di Venezia ha condannato all’ergastolo Filippo Turetta per l’omicidio di Giulia Cecchettin. La sentenza ha suscitato molte riflessioni riguardo alle aggravanti escluse e alla durata effettiva della pena di ergastolo in Italia.

Il caso di femminicidio ha destato indignazione e ribellione per la brutalità del crimine, ma la mancata inclusione delle aggravanti dello stalking e della crudeltà ha lasciato perplessi molti osservatori. La condanna all’ergastolo, se da un lato rappresenta la massima pena, dall’altro lascia aperta la possibilità di un appello della difesa e una possibile revisione della sentenza.

In Italia, l’ergastolo comune prevede la possibilità di benefici dopo un certo periodo di detenzione, come i permessi premio, la semilibertà e la liberazione condizionale. Tuttavia, l’ergastolo ostativo, riservato a reati particolarmente gravi come quelli di stampo mafioso, preclude l’accesso a tali benefici.

Recentemente, il legislatore ha introdotto la possibilità di ottenere benefici anche per i condannati all’ergastolo ostativo, a condizione di dimostrare l’assolvimento delle obbligazioni civili e l’assenza di legami con la criminalità organizzata. Questi correttivi cercano di conciliare la pena dell’ergastolo con i principi costituzionali e il diritto alla rieducazione del condannato.

È importante riflettere sul significato profondo della pena e sulla sua applicazione concreta, garantendo la coerenza tra la gravità del reato e la durata effettiva della pena. La giustizia deve assicurare che la pena venga espiata per tutta la sua durata, rispettando il principio di rieducazione e il diritto alla dignità della persona condannata.

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