La colonna di fumo che si è alzata ieri da piazza Municipio, a causa dell’incendio della Venere degli Stracci, racconta molto, e forse definitivamente, della città che vorrebbe essere ma che non è in grado di essere. Questo incendio davanti al Municipio, sotto la “casa” del sindaco, è la rappresentazione di un disastro più ampio: l’immagine di una città che vorrebbe avere un ruolo internazionale, autorizzata dalla sua storia e antica civiltà, ma che invece si degrada ogni giorno auto-condannandosi alla rovina. Come un gioco dell’oca grottesco, l’orgoglio che si è innalzato nei giorni del tricolore, ora precipita ai livelli più bassi. Le salite ardite e le discese: il nostro ego, lo sguardo fiero di chi continua ad amare questa città nonostante tutto e tutti, è sempre stato su un ottovolante. Ma ora che, dopo aver festeggiato lo scudetto sul campo, dobbiamo fare i conti con lo scudetto della vergogna, viene voglia di parlare della città perduta, senza speranza, irredimibile. Dimenticando, e non dovremmo farlo, che Napoli ha sempre sopportato umiliazioni e schiaffi, anche auto-inflitti, e sempre è risorta (in questo caso letteralmente) dalle sue ceneri.

Era chiaro sin dall’inizio che l’installazione, inaugurata quindici giorni fa, era a rischio di vandalizzazione, magari un trofeo ambito per le babygang desiderose di aggiungere nuovi trofei ai loro tesori. Molti si erano chiesti se l’opera non avrebbe dovuto essere protetta con una speciale rete di protezione o magari sorvegliata per evitare ciò che poi è successo. Secondo le prime indagini, a incendiare la Venere degli Stracci sarebbe stato un senza fissa dimora di 32 anni, trovato in una mensa di via Marina grazie alle immagini delle telecamere di sorveglianza. Vedremo come si svilupperanno le indagini. Rimane lo sgomento per i nostri tesori esposti a ogni genere di rischio, che siano monumenti, piazze, bellezze artistiche e naturali o, come nel caso di Pistoletto, installazioni d’arte contemporanea. E rimane anche la deriva anarchica delle nostre notti, sempre più folli e violente, immerse nel degrado. Nessun luogo è al riparo, nemmeno una piazza simbolo come quella del Municipio, cuore fragile di una città che sembra, soprattutto di notte, fuori controllo.

Si sarebbe potuto fare di più e meglio per proteggere l’opera di Pistoletto? Forse. Si sarebbe potuto chiudere a chiave nel cortile di un palazzo storico anziché esporla in mezzo a una piazza centrale? Certamente, ma così si sarebbe svilito il messaggio dell’autore, secondo cui l’opera è viva, è l’arte che poggia i piedi per terra, esponendosi al mondo senza salire su un piedistallo. È sconcertante che i riflettori sulla grande questione della sicurezza urbana si accendano sempre dopo un disastro, come lacrime del giorno dopo. La forza di una città, di una comunità, risiede nella capacità di dotarsi di un sistema di regole condivise e di un efficace sistema di vigilanza e controlli. E invece Napoli è da tempo nelle mani di chi se la prende (dai gestori dei locali con i loro tavolini selvaggi ai clienti degli chalet di Mergellina che usano la strada come il loro bagno) e temiamo che non sarà un Mastrogiorgio ad ogni incrocio a mettere fine a questa deriva di irresponsabilità, intesa come mancanza di responsabilità.

L’incendio della Venere degli Stracci, indipendentemente dalla mano criminale che ha appiccato il fuoco, è un duro colpo per l’immagine della città proprio nel momento in cui è maggiormente esposta mediaticamente, nei giorni dell’orgoglio e in mezzo a una stagione esaltante dal punto di vista culturale, turistico e sportivo. È questo danno che deve spingere la maggioranza silenziosa ma perbene dei cittadini a mobilitarsi, che amano la loro città e vorrebbero continuare ad amarla, ma che sono sempre più delusi e stanchi di subire gli oltraggi del degrado e della violenza urbana. A titolo di risarcimento per la povera Venere ridotta in cenere, sul luogo dell’incendio sono apparsi alcuni biglietti autoconsolatori. “In memoria di quella Napoli che ha dato i natali ad artisti, filosofi e poeti. Riposa in pace”, è scritto davanti a un mazzolino di fiori bianchi deposto da una donna in lacrime davanti all’opera carbonizzata. Arte e degrado, cenere e fiori: le due Napoli costrette a convivere. Il vero tesoro di Napoli risiede nella sua capacità innata di guardare oltre la storia e i suoi ostacoli, di rialzarsi dopo ogni caduta. La caduta di ieri è stata rovinosa, speriamo che almeno serva a risvegliare le coscienze sopite e a sollecitare una reazione civica all’altezza del danno arrecato all’immagine di una città che vive l’amore come una fatica quotidiana. È un segnale positivo che la Venere verrà ricostruita e è un segnale positivo che ci sia stata un’onda di indignazione dopo questo attacco: facciamo in modo che questa onda cresca, diventi sistematica, produca una mobilitazione continua. Altrimenti continueremo a consumarci tra assuefazione e rabbia, come un orologio le cui lancette tornano sempre al punto di partenza.

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