L’inchiesta che ha svelato un vero e proprio droga market all’interno del carcere di Fuorni ha portato alla luce uno dei retroscena più inquietanti: chiunque non obbediva alle regole del gruppo era sottoposto a punizioni esemplari. Sono tanti i pestaggi ricostruiti dagli inquirenti, attraverso le intercettazioni e le dichiarazioni dei detenuti coinvolti nell’inchiesta, che mostrano l’assenza di qualsiasi tipo di scrupolo da parte del clan pronto a punire non solo chi non riusciva a saldare i debiti ma anche chiunque non volesse collaborare nell’attività di spaccio all’interno del carcere.

Il gip, nell’ordinanza di custodia cautelare, illustra il “modus operandi” del gruppo degli “ebolitani” – «capace di indurre in uno stato di assoggettamento i detenuti debitori, talvolta anche attraverso vere e proprie spedizioni punitive». Sono le dichiarazioni rese da uno dei detenuti vittime del clan, confermate nel prosieguo delle indagini, a rivelare che «alcuni detenuti venivano sottoposti a vere e proprie minacce o aggressioni fisiche da parte del gruppo di comando e dai sodali nell’ipotesi in cui si fossero rifiutati di prestarsi ad essere utilizzati come destinatari dei pacchi in cui era occultata droga».

Le indagini hanno chiarito le dinamiche dell’indebitamento tipiche del clan: alcuni detenuti acquistavano droga dal gruppo degli ebolitani e, successivamente, dopo averla ceduta ad altri detenuti, si procuravano la provvista necessaria per restituire le somme e, eventualmente, per conseguire un guadagno. Se non saldavano il debito, subivano i pestaggi.

Il ruolo apicale degli ebolitani si fondava su un pilastro fondamentale: la gestione dei traffici illeciti nell’ambito della Casa Circondariale di Salerno era consentita soltanto se posta in essere sulla base delle direttive del gruppo di comando, oppure previa autorizzazione dello stesso.

L’inchiesta ha portato all’arresto di diversi membri del clan, tra cui il detenuto Ayarl Ahmza, uno dei picchiatori del gruppo, e i detenuti Emanuele Di Biase, Massimo Petrillo e Vincenzo Spinelli, conosciuti come “gli ebolitani”, capi – promotori del sodalizio criminale. Gli inquirenti hanno anche ricostruito i legami tra il detenuto Ayari e il boss della criminalità organizzata salernitana Giuseppe Stellato, alias “Papacchione”.

L’inchiesta ha rivelato una realtà inquietante all’interno del carcere di Fuorni, dove il potere criminale sembrava avere il sopravvento sulla legalità. La lotta alla criminalità organizzata deve passare anche attraverso la prevenzione e la repressione all’interno delle carceri, per evitare che i detenuti diventino vittime e complici di attività illecite.

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