Il processo per le Cooperative Sociali di Salerno sembra avviarsi verso un iter giudiziario lento e scontato, simile alla burocrazia che tutto travolge e seppellisce sotto una spessa coltre di polvere. Nonostante le risibili intercettazioni esibite nelle ultime udienze, non porteranno mai alla verità che non conosceremo mai. L’ex magistrato Lino Ceccarelli diceva che ci sono sempre almeno tre verità: quella giudiziaria, quella che è nel cuore di ognuno e quella che conosce soltanto l’imputato. Ma se le cose stanno in questo modo, c’è poco da sperare nel futuro della giustizia in questo Paese.
Per questo motivo, è necessario riproporre alcune domande di fondo agli investigatori ed al tribunale: perché la cena con delitto svelata dall’ex magistrato Michelangelo Russo non è ufficialmente entrata nella discussione dibattimentale o perché l’ex pm non è stato ancora chiamato a testimoniare? Probabilmente perché si scoprirebbe davvero chi sono i “dominus” della complessa vicenda delle coop sociali.
Il livello investigativo degli inquirenti sembra essere appiattito verso il basso man mano che ci si è allontanati da quel maggio 1993 quando “don Mimì” inventò la microspia e registrò le conversazioni con l’imprenditore Vincenzo Ritonnaro. Anche in quel caso il racconto dettagliato servì a poco; difatti gli imputati del Trincerone furono tutti assolti con formula piena e risarciti dallo Stato.
La cosa che più inquieta è quella narrazione, scontata e ripetitiva, che sta facendo scivolare l’intero processo verso la descrizione di una Salerno inquinata e corrotta per colpire a strascico nella speranza che qualcosa rimanga nella rete. Ma quella non era e non è giustizia.