Quattro condanne, 10.600 euro di multa complessive, la confisca della somma di 250.265 euro. È stata questa la decisione della Terza Sezione penale del tribunale di Santa Maria Capua Vetere in composizione collegiale – presieduta dal giudice Francesco Rugarli con a latere Giorgio Pacelli e Maria Compagnone – nel processo sul caporalato mondragonese.
Due anni e 6 mesi di reclusione oltre a 2400 euro di multa per Gennaro Bianchino; 2 anni e 9 mesi di reclusione più 2800 euro di multa per Pasquale Miraglia; 2 anni ed 8 mesi di reclusione per Vincenzo Miraglia e Francesco Pagliaro oltre ad una multa pari a 2700 euro ciascuno. Il collegio ha altresì disposto in capo a Gennaro Bianchino la confisca della somma di 250.265 euro attualmente in sequestro e la restituzione ed il dissequestro delle ditte individuali dei fratelli Miraglia.
Nel corso della scorsa udienza il Sostituto Procuratore Mariangela Condello nel corso della sua requisitoria aveva invocato 5 anni di reclusione per Gennaro Bianchino, Pasquale Miraglia, Francesco Pagliaro; 3 anni e 6 mesi di reclusione per Vincenzo Miraglia. Gli imputati sono assistiti dagli avvocati Angelo Raucci e Giovanni Lavanga.
L’accusa a carico degli imputati è di associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento del lavoro ed intermediazione illecita di manodopera. Per la Procura di Santa Maria Capua Vetere che coordinò le indagini, che vennero svolte dai finanzieri della compagnia di Mondragone e dai carabinieri del locale Reparto Territoriale, gli imputati avrebbero creato una stabile organizzazione attraverso la quale assumevano manodopera reclutata mediante l’attività di intermediazione illecita svolta dai caporali a cui si rivolgevano perlopiù donne e di nazionalità dell’Est Europa ma c’erano anche lavoratori africani.
A capo di tale sistema clientelare di sfruttamento di manodopera per la Pubblica Accusa ci sarebbe stato Gennaro Bianchino, Pasquale Miraglia sarebbe stato l’organizzatore e Vincenzo Miraglia e Francesco Pagliaro avrebbero rivestito il ruolo di partecipi. I lavoratori sarebbero stati impiegati nei campi sotto la pioggia battente o anche sotto il sole cocente, sempre piegati e potevano assumere la posizione eretta solo per pranzo. I servizi igienici erano assenti. Venivano impiegati 11 ore al giorno per una retribuzione media giornaliera di 4,50 euro. Per la Procura il business dello sfruttamento di esseri umani fruttò un introito illecito di circa 2 milioni di euro.