Una piccola dimenticanza legata al suo patrimonio immobiliare ha fatto perdere a un uomo di 60 anni di Sarno il diritto al Reddito di cittadinanza, portandolo persino a essere condannato in primo e secondo grado a due anni di reclusione per truffa. Solo grazie alla difesa del suo avvocato, Giovanni Falci, l’uomo è riuscito ad ottenere l’assoluzione in Cassazione. La tesi difensiva è stata condivisa anche dal procuratore generale della Suprema Corte. Tutto è iniziato con una verifica della Guardia di Finanza, che ha scoperto che l’uomo aveva dichiarato come reddito immobiliare un valore di 21mila euro, dimenticando un sesto del valore di un altro immobile, pari a 250 euro. Il limite massimo per il Reddito di cittadinanza era di 30mila euro. Nonostante ciò, l’uomo è stato processato e condannato in primo e secondo grado. I giudici hanno motivato la condanna in relazione alla “falsa dichiarazione” firmata dall’imputato nella documentazione, con il reato di truffa che è stato sostenuto per due gradi di giudizio. La difesa, invece, ha sottolineato come la legge punisca azioni che sono “al fine di”, ovvero quando l’imputato dimostra l’intenzione di commettere la truffa e “indebitamente”, senza avere diritto. In questo caso, l’intenzione era quella di ottenere il Reddito di cittadinanza. “Una legge che porta a effetti irragionevoli non è una legge razionale”, ha spiegato il difensore in una nota. Nel ricorso è stata rilevata la circostanza che l’INPS non ha effettuato gli accertamenti previsti dalla legge. Non si discute di questa vicenda perché il mio assistito ha dimenticato di indicare un bene nella dichiarazione, ma perché l’INPS non ha svolto i dovuti controlli. Questo istituto avrebbe dovuto verificare le domande e poi concedere il beneficio. È evidente che ciò non è avvenuto perché l’accertamento della Guardia di Finanza si è limitato a consultare il sito dell’Agenzia del Territorio utilizzando il codice fiscale del mio assistito, cosa che l’INPS non ha fatto.

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