Una giovane ragazza di Parma, fragile e sola, ha vissuto un vero e proprio inferno a Salerno. Vittima di violenze da parte della madre, che l’aveva cacciata di casa e l’aveva portata in una comunità, e sottoposta a un clima di terrore psicologico da parte del padre, spesso ubriaco e con comportamenti autoerotici. I giudici della Corte d’appello hanno ricostruito in circa 50 pagine di sentenza il calvario di questa ragazza di 19 anni, che nel 2016 ha lasciato la sua città per raggiungere Salerno e coronare il suo sogno d’amore, ma invece ha vissuto un vero inferno.

L’uomo che aveva conosciuto su Facebook, affascinante e premuroso, si è rivelato essere un 60enne che per sei lunghi mesi ha violentato la ragazza, affetta da un lieve deficit cognitivo, costringendola persino a prostituirsi e a consegnargli tutti i guadagni. I giudici della Corte d’appello di Salerno, confermando la sentenza di primo grado a carico del 60enne Ulisse Voria, lo hanno condannato a 4 anni e 4 mesi di reclusione per violenza sessuale, violenza privata, lesioni personali volontarie e induzione alla prostituzione.

La ragazza, assistita dall’avvocato Fabio De Ciuceis, è finalmente riuscita a cambiare vita. Era dicembre 2016 quando arrivò a Salerno, dopo essere stata sballottata tra una madre senza affetto, un padre alcolizzato e una casa famiglia. Iniziò così un calvario che durò fino a maggio dell’anno successivo. Prima le botte, poi le violenze e infine l’obbligo di prostituirsi. Voria iscrisse la ragazza a un sito di incontri, pubblicando le sue foto in abiti succinti, trovandole i clienti e fornendole un numero di telefono apposito per gli appuntamenti. Naturalmente, il denaro rimaneva tutto per lui. Poi ha iniziato a pretendere sempre più frequentemente e ossessivamente rapporti sessuali, tanto da causarle una malattia venerea per la quale ha dovuto sottoporsi a un intervento chirurgico.

Successivamente, ci furono anche violenze fisiche. Le percosse erano particolarmente violente e la giovane finì in ospedale. Fu lì che trovò la sua salvezza. La ragazza denunciò tutto al pronto soccorso. I giudici di primo grado hanno ritenuto credibili le sue dichiarazioni. La difesa, al contrario, sosteneva che non ci fossero state violenze né induzione alla prostituzione, ma che la ragazza e l’imputato avevano una relazione “passionale ed estrema” e che lei stessa aveva accettato di iscriversi al sito di incontri. Secondo la difesa, la scelta di prostituirsi era stata libera e autonoma, anche perché l’imputato era una persona molto ricca e non aveva bisogno di quel denaro.

Durante il processo d’appello, la difesa ha messo in dubbio la capacità testimoniale della vittima, presentando una documentazione sanitaria rilasciata dai medici del Csm di Parma, che avevano seguito la ragazza sin dall’età preadolescenziale fino al 2016. Tuttavia, la perizia del consulente della Procura ha confermato la capacità testimoniale della ragazza, smentendo in parte le conclusioni dei medici di Parma. Nella motivazione della sentenza d’appello, i giudici hanno evidenziato il continuo “svilimento” della donna da parte dell’imputato, che approfittando della sua fragilità, è riuscito a convincerla di essere una nullità “brava solo a prostituirsi”. Hanno quindi ritenuto “contenuta” la sentenza di primo grado, considerando l’eccezionale gravità dei fatti.

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