Benevento. Due omicidi ed una scomparsa con dichiarazione di morte presunta

Benevento. Venticinque anni fa il primo, ventidue l’ultimo di tre casi rimasti irrisolti. Storie ambientate in un fazzoletto di terra, in tre centri che distano pochi chilometri l’uno dall’altro. Le vittime sono tre uomini: un cuoco e due commercianti, praticamente coetanei, le cui sorti sono state al centro di decine e decine di articoli. Quello che segue è uno di essi, nasce dall’impegno di non dimenticare e dalla speranza che un giorno, chissà, magari qualcuno o qualcosa possa finalmente squarciare il mistero, fin qui impenetrabile, che avvolge il loro tragico destino. Si chiamano cold case: casi freddi come le loro ricostruzioni, riguardano vite che sono state all’improvviso spezzate e devastate. Li ripercorriamo così come abbiamo sempre fatto.

Severino Frusciante, di San Giorgio del Sannio, aveva 34 anni ed era papà di una bimba. Lavorava come cuoco in un pub di Venticano, nella notte tra il 27 ed il 28 dicembre del 1998 era stato ammazzato mentre rientrava nella sua abitazione sulla via Appia. Il corpo era in una Panda diesel di colore bianco, centrato da tre colpi di pistola calibro 7,65 sparati a breve distanza ed in rapida successione. Qualcuno l’aveva affiancato ed aveva sparato, senza dargli scampo. L’auto era uscita di strada ed aveva concluso la sua traiettoria ‘impazzita’ in un terreno. Alcuni automobilisti in transito avevano fatto scattare l’allarme. Inutile qualsiasi soccorso, senza risultati i tentativi di rianimazione.

La Panda era rimasta con i fari accesi, inizialmente si era pensato che fosse rimasto vittima di un incidente dovuto, magari, alla stanchezza accumulata. Un colpo di sonno, insomma, o una distrazione fatale. Il rischio che potesse essere seppellito senza che si sapesse la verità era stato spazzato via, fortunatamente, da un successivo esame; un’ispezione medico-legale più approfondita che aveva fatto emergere un dato inquietante e tragico.

Otto mesi più tardi, il 6 agosto del 1999, ad Apice, il nulla aveva ingoiato Enrico Soricelli, 36 anni, coniugato e con due figli in tenera età. Era titolare di un’attività commerciale, era sparito nel pomeriggio. “Vado a San Giorgio del Sannio”, avrebbe detto ad un suo collaboratore stringendo tra le mani un compact -disk di Gigi D’Alessio. Lo aveva duplicato la sera prima, dopo aver avuto l’originale da un amico. Intorno alle 13,30 aveva telefonato ad un legale di fiducia per chiedergli informazioni sull’ambiente di un locale di Montesarchio. Ma dove, evidentemente, aveva un appuntamento. Un locale, il “Moulin Rouge”, dinanzi al quale era stata ritrovata, dopo poco più di ventiquattro ore, la sua Opel Vectra, regolarmente chiusa a chiave e con l’allarme attivato.

Elementi che, aggiunti al rinvenimento del telefonino nel cassettino portaoggetti, avevano fanno ritenere che fosse giunto nella cittadina caudina e che poi fosse salito su un’altra auto per incontrare qualcuno. Gli investigatori avevano sequestrato il computer che utilizzava, nella speranza di rintracciare qualcosa che potesse aiutare a capire.

Ad ottobre una troupe della trasmissione “Chi l’ha visto” era rimasta per due giorni nel Sannio, intervistando la consorte, i genitori e l’amico al quale, come detto, aveva telefonato. La messa in onda del servizio aveva fatto scattare una segnalazione, poi risultata infondata, di un’assistente sociale in pensione, di Caserta, che aveva riferito di essere quasi certa che l’uomo notato in mattinata- era, a suo dire, in compagnia di una donna dall’aspetto volgare che lo tirava per un braccio nei pressi di una cabina telefonica – fosse lo stesso ritratto nella foto mostrata, in serata, dagli schermi di Rai 3. Non erano mancate voci ed ipotesi, sulla scena era apparsa – in base alle testimonianze – una donna bionda e con una Renault 5 vecchio tipo che era stata vista ad Apice. Poi, nel gennaio del 2011, la dichiarazione di morte presunta pronunciata dal Tribunale su richiesta della moglie di Enrico.

Infine, a distanza di due anni e quattro mesi – il 10 dicembre del 2001-, il delitto di Carmine Mirra, 39 anni, un commerciante di tessuti, di San Nazzaro, che era stato freddato con tre colpi di pistola calibro 9 corto nel garage del suo appartamento ad Osnago, in provincia di Lecco, dove da qualche mese si era trasferito. Temeva qualcosa, per questo aveva lasciato il Sannio. La compagna ed un vicino avevano sentito le detonazioni, forse avevano visto fuggire gli assassini. Anche loro sono rimasti senza volto.

Sono trascorsi venticinque anni, le inchieste, che pure hanno cullato alcune ipotesi, non sono sfociate in risultati capaci di far luce su ciò che è successo. Ed il buio continua a restare fittissimo.

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