I penalisti irpini esprimono solidarietà all’avvocatura e alla magistratura dopo le polemiche degli ultimi giorni riguardo al corteo silenzioso organizzato per chiedere giustizia per Roberto Bembo. La sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico per i due giovani attualmente indagati ha scatenato una serie di reazioni. Prima è stato affisso un manifesto sulla porta del Tribunale di Avellino con la scritta “Vergogna” e poi è stata organizzata una manifestazione pubblica, sotto forma di corteo con striscioni che invocavano “interventi privati”. L’avvocato difensore dei due indagati ha espresso comprensione per i genitori della vittima, ma ha anche richiamato alla necessità di rispettare le decisioni dei giudici, che possono essere legittimamente criticate attraverso le forme previste dall’ordinamento. È emersa una serie di commenti indecenti, tra cui l’affermazione che per il grave reato contestato non sarebbe possibile sostituire la custodia in carcere con nessun’altra misura, nonostante il principio opposto sancito dall’ordinamento penale italiano e seguito dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Avellino. È importante ricordare che il principio di autonomia e indipendenza della magistratura non può tollerare critiche che si trasformano in dileggio o peggio, come quelle scritte sui manifesti. Le manifestazioni di piazza non possono essere considerate forme di critica alle decisioni dei magistrati e minano la serenità delle loro decisioni. È sempre più frequente che l’unica voce che si leva in difesa dello stato di diritto sia quella degli avvocati penalisti, mentre coloro che dovrebbero richiamare al rispetto delle regole della civile convivenza rimangono in silenzio. Il presidente della Camera Penale, Quirino Iorio, con questa delibera vuole esprimere solidarietà all’avvocatura e alla magistratura irpina coinvolta nella vicenda, invitando tutti a evitare di condizionare la libertà di azione e la serenità delle decisioni con forme di pressione che vanno oltre il legittimo diritto di critica verso gli attori del processo penale, per restituire senso ai richiami alla “fiducia nella giustizia” che talvolta vengono abusati.

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