A Palermo risponde Napoli. O, meglio, Caivano. Meglio ancora, Parco Verde di Caivano.
Sembra davvero incredibile. Dopo solo qualche giorno dai fatti di Palermo – e da tutto ciò che ne è conseguito, comprese le smargiassate, gli arresti ed i pianti, di pentimento degli uni, di dolore dell’altra – due tredicenni vengono violentate, costrette in un capannone da 6 ragazzini, di cui uno maggiorenne.
Il fenomeno non è certo in aumento. In passato non andava meglio. Epperò la società non godeva dell’attuale potenza di divulgazione della notizia, istantanea o meno. Né le donne avevano le stesse possibilità.
Oggi? Che succede?
È in arrivo un ulteriore ed energico provvedimento legislativo. Ennesimo giro di vite su pene e strumenti cautelari? Certo. Con la differenza che, questa volta, non si scherza. Sul tavolo, la castrazione chimica per gli stupratori.
Finalmente!
Tra le diverse misure da sempre gradite alla piazza, la più amata dagli italiani. Tanto spiccia quanto fascinosa: rendere impotenti, con un’iniezione, pedofili e stupratori. Una buona soluzione. Anzi… La soluzione.
D’intesa con le piazze, il dibattito, sul punto, è apertissimo.
Costituzionalisti, femministe e studiosi si interrogano e si scontrano dalla notte dei tempi: è compatibile con il nostro Ordinamento? È conciliabile con i valori ed i divieti contenuti nella nostra Costituzione?
Fermiamo tutto e ragioniamo, per una volta, sul vero quesito che dovrebbe precedere l’insieme delle altre domande. Ossia: serve? Funziona?
La terapia farmacologica produrrebbe un calo del desiderio sessuale e la comunità scientifica – oltre che su possibili e specifici effetti collaterali come l’osteoporosi o l’anemia – conviene su un punto: la cura è reversibile. Terminata la distribuzione ormonale, gli effetti svaniscono.
Perbacco! Ma la castrazione non sarebbe provvisoria?
Sicuramente: una pena, al massimo un suo sostituto, è comunque “a tempo”. E quindi, una volta terminata l’espiazione, più correttamente, la somministrazione, che succede? Assolutamente nulla. Si torna al punto di partenza, da qualunque angolazione si faccia muovere l’osservazione.
E se, invece, fosse irreversibile?
Beh costituirebbe una menomazione permanente del corpo, non diversamente dall’amputazione del braccio o della gamba. Chi potrebbe, a buon diritto, sostenere una tale “pena corporale” dalle fattezze latamente medioevali?
Il più delle volte non serve molto per arrivare fino in fondo. Solo un po’ di ragionevolezza, insaporita dal buon senso.
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