L’ombra della camorra si estende sulle minacce rivolte alla famiglia di una delle due bambine di Caivano che sono state vittime di una banda. Qualche giorno fa, un video è apparso su internet, ma non si conosce ancora la data esatta, che mostra un gruppo di donne che si sono presentate davanti all’edificio dove vive una delle ragazzine e hanno iniziato a insultare. I toni sono accesi e non ammettono repliche. Le bambine e le loro famiglie sono costrette ad abbandonare le loro case. Sono all’incirca una decina e di diverse età. Una delle contestatrici è particolarmente animata e, forse perché consapevole di essere ripresa, ripete a gran voce che “quello è il rione Iacp, non il Parco Verde”. Una donna con i capelli neri raccolti in una crocchia, indossa una canottiera bianca con una fantasia e pantaloni grigi di una tuta, sembra essere il capo della delegazione animata, tanto che una sua accompagnatrice più anziana le fa un gesto con la mano per calmarla. Ma è troppo tardi perché la sua ira viene immortalata su un cellulare e il video finisce sulla rete in pochi minuti. Questo attira l’attenzione dei carabinieri che stanno indagando sull’atroce episodio di violenza subito dalle due minorenni. La donna, infatti, non è sconosciuta. Al contrario, è la moglie di un importante esponente della cosca Gallo-Angelino, il gruppo che ha preso il posto dei Ciccarelli-Sautto nella gestione delle attività illecite nel complesso di edilizia popolare del Parco Verde.
Secondo i carabinieri, il motivo della manifestazione animata e, soprattutto, la presenza della donna sono la diretta conseguenza dell’indignazione e del clamore che questa triste vicenda ha suscitato in tutto il paese. Improvvisamente, infatti, il resto della nazione ha scoperto l’esistenza del Parco Verde e, soprattutto, del suo degrado. Gli appelli della politica e della società civile, che sono culminati con la visita del primo ministro Giorgia Meloni e la promessa di una risposta immediata dello Stato, hanno preoccupato non poco le organizzazioni criminali che hanno bisogno del silenzio per prosperare. Da qui la protesta che si è svolta davanti all’abitazione di una delle bambine e, soprattutto, la precisazione della moglie del capo che “quello non è il Parco Verde”. Questo dettaglio va tenuto in considerazione perché la donna ha voluto sottolineare il confine invisibile che separa il condominio popolare dove vive con la sua famiglia e opera la cosca. È un modo, nemmeno tanto velato, di ribadire l’estraneità del gruppo a quanto accaduto e di non meritare così tanta attenzione indesiderata. Del resto, non è una novità che il gruppo Gallo-Angelino voglia stare lontano dai riflettori delle forze dell’ordine e dell’opinione pubblica.
Nell’ordinanza che ha portato all’arresto del marito della donna, è emerso grazie a un’intercettazione che stava organizzando l’omicidio di un altro residente del Parco Verde sospettato di minare l’operatività del mercato della droga che gestiva con le sue lamentele. Aveva fatto troppo rumore, questa era la sua colpa, e quindi doveva essere eliminato in modo eclatante. Il capo, infatti, aveva pianificato di rapirlo, ucciderlo e infine sbarazzarsi del corpo sciogliendolo nell’acido. Per lui, solo perché sospettato di voler ribellarsi al clan, non doveva rimanere alcuna traccia. Non si trattava solo di una minaccia. Quando i carabinieri hanno fatto irruzione, hanno scoperto che la vasca in cui dovevano essere sciolti i resti dell’uomo era già pronta. Se un semplice sospetto è stato sufficiente per concepire un progetto omicida disumano, è facile immaginare quale sia stata la reazione dei capi e dei loro parenti di fronte alla minaccia, mai così concreta, di un intervento deciso dello Stato nella loro roccaforte.