Sei imputati, considerati affiliati del clan Sangermano, sono stati accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso e hanno ricevuto una richiesta di condanna di settantotto anni e quattro mesi di reclusione. Il pubblico ministero antimafia Pietro Raimondi ha avanzato questa richiesta al termine della sua requisitoria davanti al giudice dell’udienza preliminare Chiara Bardi.

Nel dettaglio, il pm ha chiesto 18 anni di reclusione per Agostino Sangermano, presunto capoclan del sodalizio operante tra Nola e l’Irpinia, per suo cognato Salvatore Sepe, che si occupava dell’imposizione dei prodotti caseari in esclusiva a locali tra la provincia di Napoli e quella di Avellino, 12 anni per Paolo Nappi, presunto braccio destro del boss Sangermano, 12 anni per Onofrio Sepe (ai domiciliari), 10 anni per Ezio Mercogliano, considerato la “sentinella” del sodalizio, e 8 anni e 4 mesi per Giuseppe Buonincontri.

Le richieste sono arrivate al termine del rito abbreviato, scelto dai sei imputati dopo che era stato disposto il giudizio con il rito immediato. Ogni imputato è difeso da un team di avvocati.

Gli inquirenti contestano ai sei imputati anche una serie di estorsioni per accaparrarsi terreni nell’alto casertano e per imporre l’acquisto di mozzarelle ai ristoratori irpini. Tra le vittime di estorsione vi è anche il gestore di un ristorante che si è ribellato agli esponenti del clan criminale.

Dopo le richieste del pubblico ministero, il processo è stato rinviato al 16 ottobre per le discussioni dei difensori, mentre la sentenza è prevista per il 24 ottobre. Inoltre, l’11 ottobre è prevista la discussione del processo con rito abbreviato chiesto da Luigi Vitale, detto O’Stack, davanti al Collegio del Tribunale di Nola.

Il 14 ottobre inizierà invece a Nola il processo ordinario per Nicola Sangermano, suo cugino omonimo Nicola Sangermano e Clemente Muto, accusato di concorso esterno. Secondo gli inquirenti, Clemente Muto ha contribuito all’egemonia del clan grazie alle sue conoscenze e ai suoi rapporti con altri professionisti e funzionari, consentendo all’organizzazione criminale di accedere a erogazioni pubbliche e di recuperare somme di denaro prestate sotto forma di usura. I pubblici ministeri della direzione distrettuale antimafia di Napoli ritengono che grazie a Muto, il clan Sangermano abbia goduto di una capacità di intimidazione riconosciuta e preponderante nei confronti delle persone soggette all’usura e della comunità in generale.

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