“La morte di Matteo Messina Denaro: la fine di un latitante leggendario”

Il 16 gennaio scorso, tra gli applausi dei palermitani, è stato arrestato Matteo Messina Denaro, uno dei latitanti più ricercati al mondo, dopo quasi trent’anni di fuga. Il suo arresto è stato un evento di grande importanza, poiché ha messo fine alla latitanza di un uomo che era diventato una sorta di fantasma. Durante la sua fuga, si faceva chiamare Andrea Bonafede e si presentava ad una clinica privata di Palermo per sottoporsi a chemioterapia. Tuttavia, è stato fermato e ha rivelato la sua vera identità. Successivamente, è stato trasferito in una struttura carceraria di massima sicurezza.

Otto mesi dopo la sua cattura, Matteo Messina Denaro è morto all’ospedale San Salvatore dell’Aquila. Conosciuto come “U’ Siccu”, era considerato il capo della mafia e l’ultimo boss di Cosa Nostra. Originario di Castelvetrano, sarà sepolto nella sua città natale. Durante il suo ricovero all’ospedale dell’Aquila, gli è stata allestita una sorta di infermeria accanto alla sua cella, dove ha subito due interventi chirurgici per un tumore al colon. Purtroppo, non si è mai ripreso e è morto in una stanza di massima sicurezza, dove è stato sottoposto a terapia del dolore e poi sedato. Ha rifiutato l’accanimento terapeutico e gli è stata interrotta l’alimentazione, cadendo in coma irreversibile. Prima di perdere conoscenza, ha riconosciuto la figlia Lorenza Alagna, avuta durante la sua latitanza nel 1996.

Con la morte di Matteo Messina Denaro, si è spento l’ultimo stragista di Cosa Nostra. Aveva 61 anni e non aveva mai trascorso un giorno in carcere, senza che il mondo conoscesse il suo volto. Era ricercato anche all’estero per associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materie esplodenti, e furto. In patria, suo padre Ciccio era stato un alleato storico dei corleonesi di Totò Riina.

Matteo Messina Denaro amava il lusso e le donne. Era conosciuto come un viveur di Castelvetrano, con il suo leggero strabismo e gli occhiali a goccia da giovane. Sparava con il kalashnikov, regalatogli dai padrini corleonesi, che divenne il suo giocattolo preferito. Per trent’anni, non ha lasciato tracce di sé e l’ultima fotografia risaliva agli anni ’80. Spesso si trovava in vacanza a Rimini, Riccione, Venezia, Forte dei Marmi e in Versilia, anche subito dopo mostruosi attentati.

Matteo Messina Denaro era un uomo spietato, condannato per decine di omicidi, tra cui quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del mafioso Santino, che fu strangolato e sciolto nell’acido. Era anche responsabile degli attentati del 1992 che uccisero i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e dell’attentato a Maurizio Costanzo, solo per citare alcuni episodi di stragi e attentati.

Nel suo libro “U’ Siccu” (Rizzoli), il giornalista Lirio Abbate, che è stato in prima linea nella lotta alla mafia, scrive: “Il suo arresto sarebbe un colpo importante per i membri di Cosa Nostra, un colpo che farebbe crollare ogni loro speranza, ogni illusione di ribellione o rivoluzione. Il suo arresto, questo è sicuro, riporterebbe in auge l’immagine dello Stato, in quei territori in cui la mafia si è finora sostituita ad esso… Matteo Messina Denaro non è un pastore o un agricoltore. È un boss imprenditore. E verrà catturato. È il destino di tutti i latitanti.”

Con la morte di Matteo Messina Denaro, si chiude un capitolo nella storia della mafia italiana. La sua figura rimarrà per sempre leggendaria, ma ora la giustizia può finalmente dirsi compiuta.

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