La rivoluzione è in corso, Garibaldi sta organizzando le sue truppe e Cavour sta tessendo le sue trame politiche. L’ambasciatore Canofari di Torino segue attentamente gli avvenimenti e invia dispacci precisi al giovane re Francesco II di Borbone, appena succeduto a Ferdinando II. Tuttavia, il re di Napoli, inesperto e influenzabile, si fa suggestionare da notizie assurde e balorde anziché affidarsi ai rapporti accurati del diplomatico. Luciano Bianciardi, nel suo libro “Da Quarto a Torino”, racconta l’episodio dello sbarco dei Mille e deride l’impreparazione e l’incapacità politica dei Borbone.
La corte di Napoli un giorno è convinta che Garibaldi sia in viaggio su una nave russa pronta a sbarcare a Messina, mentre il giorno dopo viene avvistato al largo di Livorno su una nave inglese. In realtà, Garibaldi è già sbarcato a Palermo e sta aspettando rinforzi. Arriva un telegramma che sostiene che Garibaldi sia a Tunisi, in attesa del momento opportuno per invadere l’isola. Il re diffonde tutte queste notizie false e precisa di limitarsi a dare consigli e informazioni, poiché ritiene di essere troppo giovane per dare ordini. Bianciardi commenta ironicamente che il re è stato educato dai Gesuiti, diventando così un imbecille completato dalla scuola religiosa. La propensione del figlio a fidarsi di sensazioni e preghiere gli è stata trasmessa dal padre. Infatti, il re Ferdinando II passa le giornate a letto con il corpo ricoperto da santini, scapolari e reliquie miracolose, poiché è affetto da varie malattie. Il figlio, al suo capezzale, non fa altro che recitare il rosario.
Quando finalmente Garibaldi sbarca con i suoi mille uomini, le navi napoletane ricevono ordini contrastanti per tutta la giornata: puntare su Trapani, dare un’occhiata a Tunisi, dirigersi a tutta forza verso Girgenti. Casualmente, l’11 maggio 1860, nella confusione generale, una pirocorvetta borbonica si trova a passare vicino a Marsala e nota due navi da guerra ancorate poco fuori dal porto. Inizialmente pensano siano navi inglesi, quindi straniere, e decidono di “sorvegliarle con garbo”. Solo quando si avvicinano, si accorgono che altre due navi sono già in porto e stanno sbarcando persone. Se i marinai borbonici avessero aperto il fuoco, avrebbero potuto fermare lo sbarco di Garibaldi, ma invece iniziano una trattativa con le due navi inglesi per capire cosa stia succedendo e se gli inglesi si sarebbero offesi nel caso avessero aperto il fuoco. Il cannoneggiamento inizia solo dopo che i volontari hanno già percorso un chilometro. La prima granata, che esplode lontano dai mille, viene recuperata da un volontario e alzata come trofeo con il grido “Viva l’Italia”. Un altro volontario la porta a Garibaldi dicendo: “Ho l’onore di presentarle il primo fuoco”. Alla fine, l’attacco napoletano provoca una sola vittima, un cane.
In conclusione, l’incapacità politica e l’impreparazione dei Borbone di Napoli sono evidenti durante lo sbarco dei Mille. Mentre Garibaldi organizza con successo la sua operazione, il re Francesco II si fa suggestionare da notizie assurde anziché affidarsi ai rapporti accurati dell’ambasciatore Canofari. Questo episodio rappresenta un momento significativo nella storia dell’unità italiana e nella caduta del potere dei Borbone.