Muore a 76 anni il “boss” di Scafati, Francesco Matrone. La sua morte è avvenuta domenica scorsa a Milano, all’ospedale Santi Paolo e Carlo, dove era stato ricoverato dalla fine di agosto. Matrone aveva lasciato il carcere a causa di un peggioramento delle sue condizioni fisiche, essendo stato detenuto nel regime di carcere duro 41 bis. I funerali si terranno in forma privata, su disposizione del Questore di Salerno, nel comune di Scafati, nei prossimi giorni.

Negli ultimi procedimenti penali a suo carico, Matrone era stato assolto da accuse come estorsione aggravata dal metodo mafioso e associazione di stampo camorristico, grazie alla difesa degli avvocati Armando Vastola e Giuseppe Della Monica. Matrone, noto come “Franchino ‘a belva”, si era reso irreperibile dal 14 giugno 2007, quando si era dato volontariamente alla latitanza, dopo essere stato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza. La sua cattura risale ad agosto 2012, quando è stato trovato e arrestato per diversi reati, tra cui un duplice omicidio che gli è valso due ergastoli.

Uno dei due omicidi è stato commesso a Sarno il 23 marzo 1980, un classico agguato di camorra, in cui Matrone è stato identificato come mandante. Il suo nome era da anni nell’elenco dei trenta ricercati più pericolosi. È stato rintracciato dai carabinieri del Ros in una casa rurale ad Acerno, tra i monti Picentini, dove si nascondeva in un’abitazione immersa nella vegetazione. Per il suo arresto sono stati impiegati oltre cento carabinieri.

Negli anni ’80, Matrone aveva assunto il ruolo di capo del clan omonimo, associandosi ad un altro boss di Scafati, Pasquale Loreto, alla Nuova Famiglia capeggiata da Carmine Alfieri e Pasquale Galasso, nella lotta alla Nco di Raffaele Cutolo. L’organizzazione mafiosa ha dominato nel comune di Scafati tra gli anni ’90 e 2000, ma ha poi subito un declino grazie alle numerose indagini antimafia che hanno permesso di debellare il clan.

La latitanza di Matrone è stata possibile grazie all’aiuto di diverse persone, tra cui un parente. Il regime di carcere duro 41 bis gli era stato confermato anche dalla Corte di Cassazione, che ha sottolineato il suo ruolo chiave nello sviluppo e nella gestione delle attività criminali del clan camorristico da lui capeggiato, caratterizzate dall’uso della violenza e da azioni di estrema ferocia. I giudici hanno richiamato la necessità di questo regime anche a causa dei contatti che Matrone avrebbe mantenuto e della sua abilità nel mantenere tali collegamenti. Nel corso degli anni, diversi collaboratori di giustizia hanno fornito ulteriori elementi sul suo carisma criminale. Le indagini della Dia hanno sottolineato come a Scafati la sua influenza fosse ancora forte, con riferimento a specifiche indagini sulla criminalità organizzata.

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