Dai campus universitari americani al piazzale della Sapienza a Roma, e un po’ ovunque in Europa occidentale, piazze e aule si sono riempite in questi giorni di studenti che inneggiano alla causa palestinese e imputano a Israele una politica ottusa e violenta che ha spinto un intero popolo alla disperazione. Di qui, con un sillogismo quanto mai fallace, se non la giustificazione, la sottovalutazione morale della ferocia omicidiaria dell’aggressione di Hamas ai kibbutz a ridosso della Striscia di Gaza.

Il terrorismo, si dice, è la risposta estrema e brutale di chi non ha altra alternativa. Questa posizione ha una conseguenza principale che consiste nel mettere tra parentesi Hamas e collocare in primo piano le sofferenze del popolo palestinese. Si smette così di parlare di ciò che è successo nel sud di Israele. Del fatto. E comincia un discorso che è essenzialmente una imputazione delle sue presunte cause. Arrivando così al paradosso, che il responsabile della strage di ebrei è lo stesso Israele.

Che cos’è che non funziona di questo ragionamento? Molte cose, a cominciare dalla sua sostanziale disonestà intellettuale. Ma un paio conviene evidenziarle. Primo, se si smette di discutere di un singolo evento, ma si pretende di ricondurlo all’interno di un contesto più vasto, non c’è mai una sola causa. Quindi, varrebbe la pena chiedersi con le colpe di Netanyahu, quali sono le responsabilità dei Palestinesi? Le responsabilità della loro dirigenza politica e del mondo arabo nel suo complesso in quello che è un gigantesco disastro storico? Da sempre, la causa nazionale dei palestinesi è manipolata da attori geopolitici, i Paesi arabi, l’Iran, la Turchia, la Russia, di un’area del mondo in cui politica e profondità della storia si incontrano come mai altrove.

Ma c’è poi un’altra questione. In nome di quale causa si battono i sostenitori della causa Palestinese? Nelle piazze italiane si sono visti e ascoltati in questi giorni slogan e striscioni che inneggiano all’Intifada, alla Palestina libera, in qualche caso addirittura ad una Palestina rossa. A Napoli una bandiera palestinese era stata fatta sventolare da Castel Sant’Elmo; il ministro Sangiuliano l’ha fatta rimuovere. Come se Arafat non fosse morto da un pezzo, se fossimo ancora ai tempi dei bambini che lanciano le pietre contro l’esercito con la Stella di David. Come se, la prospettiva laica e socialista del nazionalismo palestinese fosse ancora lì, intatta e capace di raccogliere attorno a sé la mobilitazione di una vasta solidarietà politico-ideologica internazionale.

E qui veniamo al punto saliente dell’inganno profondo in cui cadono quanti, oggi, non vogliono vedere Hamas e retoricamente enfatizzano le sofferenze di un popolo. Anche Arafat praticava la lotta armata e le azioni terroristiche dei gruppi nazionalisti laici palestinesi si sono susseguite ininterrotte tra anni Settanta e Ottanta. D’altra parte, noi italiani sappiamo bene che cosa ha voluto dire avere un terrorismo interno, tra stragismo neofascista e attentati brigatisti. Dunque, l’argomento del tipo “è la disperazione di un popolo che nutre la violenza terroristica” non dice nulla circa la natura specifica di questo terrorismo. Lo ha notato ieri sul Corriere della sera Angelo Panebianco. Le Brigate rosse non avrebbero mai ammazzato dei bambini. La nascita dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina negli anni Sessanta trasformò la lotta armata e l’attività terroristica araba in Palestina contro l’immigrazione ebraica fin dagli anni Venti in lotta di liberazione nazionale per la creazione di uno Stato dei Palestinesi.

L’invasione di Hamas della settimana scorsa è stata invece una vera e propria caccia all’ebreo. E d’altra parte i video di quella strage sono pieni di frasi urlate dai miliziani sunniti del tipo “ammazza quell’ebreo”. I tagliagole di Hamas hanno fatto irruzione in un concerto all’aperto e ucciso centinaia di ragazzi, rincorrendo e uccidendo quelli che cercavano di scappare. Ci sono immagini di neonati in fasce crivellati di colpi. Nel video mandato in onda qualche giorno fa si vedono i bambini rapiti nel raid in mano ai guerriglieri islamici di Gaza. Il messaggio è molto chiaro: fate attenzione, perché gli taglieremo la gola.

Dunque, la disperazione arma il terrorismo. Ma chi difende la causa palestinese oggi deve fare i conti con questo terrorismo, non con il principio astratto della libertà palestinese. Ma poi, è proprio vero che la disperazione arma il terrorismo? Anche questo è un argomento destituito di vero fondamento. La disperazione arma il bisogno di protezione politica. Come il soggetto che offre questa protezione organizza la disperazione e la rabbia popolare è un altro paio di maniche. Tra gli arabi, e anche tra gli arabi palestinesi, il libro più venduto è oggi il Mein Kampf di Adolf Hitler. Quando non c’era lo Stato di Israele e e non c’era nessun esercito ebraico a occupare le terre palestinesi, il Gran Mufti di Gerusalemme all’epoca della Seconda guerra mondiale era un palestinese di nome Muhammad Amīn al-Husaynī. I suoi rapporti con il fascismo italiano e in particolare con la Germania nazista sono noti e ampiamente documentati. Il Gran Mufti guardava a Hitler con ammirazione perché prometteva di sterminare tutti gli ebrei e Hitler a sua volta considerava l’islamismo un alleato prezioso per la costruzione di un nuovo ordine mondiale senza ebrei. Amīn al-Husaynī in Egitto aderì alla Fratellanza musulmana e come è noto Hamas deriva dall’organizzazione dei Fratelli musulmani.

L’odio arabo per Israele è prima di tutto l’odio arabo per gli ebrei e la loro sete di sterminio non ha bisogno delle cose terribili che Israele impone ai Palestinesi a Gaza o nei territori di espansione dei coloni per alimentarsi. Esiste da molto prima. È evidente che non tutti i Palestinesi sono antisemiti, come non tutti i tedeschi furono complici di Hitler. Non stiamo parlando di questo. Non è nemmeno il caso di dirlo. Stiamo parlando del fatto che nessun discorso sulla causa palestinese può fare astrazione dalla presenza di un attore politico religioso che organizza la protesta palestinese in forme antisemite.

Il dramma della causa palestinese è proprio questo. Essere schiacciata tra il liquefarsi della vecchia dirigenza nazionalista e laica dell’Olp, sprofondata in una disgustosa corruzione, e l’emergere del fondamentalismo islamico di Hamas. Non si può essere alleati di Hamas e nessuno può pensare di liberare un popolo senza capacità di iniziativa politica che non sia il fondamentalismo senza fare la guerra.

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