Morte evitabile. Queste sono le parole ripetute più volte da Grazia Ragozzino, vedova del commerciante Rosario Padolino, travolto dal crollo di un cornicione il 8 giugno 2019. Insieme alla figlia Rossella Padolino, ha assistito negli anni all’aumento di un fenomeno che ancora nessuno è riuscito a contenere: il crollo di pietre e calcinacci, che mettono a rischio la vita dei cittadini e dei visitatori, soprattutto durante il periodo di maggiore afflusso turistico a Napoli. Parla oggi, a pochi giorni da una svolta processuale, dopo che il giudice del Tribunale di Napoli ha accolto le conclusioni della Procura nell’ambito dell’inchiesta sulla morte del commerciante.
In sintesi, al termine dell’udienza preliminare, due condomini hanno patteggiato le rispettive condanne, mentre la posizione di altri due condomini è stata archiviata. Dovranno affrontare un processo per crollo e omicidio due amministratori e una decina di altri inquilini. Si tratta di un processo che segna una svolta, durante il quale la famiglia del commerciante ha deciso di costituirsi parte civile, affidandosi agli avvocati Roberto Rapalo, Claudia Simeoli e Antonio Costantino Peluso. Ma torniamo alla testimonianza della vedova, dopo il rinvio a giudizio e gli ultimi episodi di crolli di calcinacci nel centro turistico della città. Quattro anni dopo la morte di suo marito, si è staccato un pezzo di parete del Maschio Angioino, lato via Acton, e si sono verificati crolli di calcinacci in via Chiaia, nonostante il ponte fosse stato restaurato pochi anni fa. Cosa prova di fronte a questi episodi?
“Provo un enorme senso di impotenza. Speravo che dopo la morte di mio marito e del piccolo Salvatore Giordano nel 2014, ci sarebbe stata più attenzione per i nostri monumenti e i nostri edifici storici. Mi rendo conto che non è accaduto. Che il dolore immenso che ha colpito le nostre famiglie non è stato sufficiente per promuovere una seria politica di manutenzione urbana”. In pochi giorni siamo passati dai crolli al Maschio Angioino al Ponte di Chiaia. “Ed è un miracolo che non ci siano state altre vittime. Anche quando mio marito è stato colpito, abbiamo scoperto che poco prima del crollo, lungo via Duomo, era passata una donna con un bambino in carrozzina. Alla fine, dobbiamo sempre accontentarci del male minore, come se non fosse un diritto sacrosanto poter camminare per strada senza correre il rischio di essere colpiti da detriti”.
Oggi abbiamo un primo verdetto, con il rinvio a giudizio di decine di condomini e due amministratori di condominio. Cosa ne pensa di questa decisione? “Chiedo che si continui a individuare le responsabilità individuali. In aula è stato tutto molto chiaro. Prima del crollo che ha ucciso mio marito, c’era stata un’ordinanza del Comune che imponeva l’eliminazione del pericolo dovuto al dissesto delle facciate. Un’ordinanza che è rimasta lettera morta. Sulla cornice assassina erano cresciute anche delle piante”.
Al di là degli esiti processuali, che naturalmente terranno conto anche delle difese degli imputati, non è la prima volta che si osserva un certo tipo di inerzia, non è vero? “Purtroppo i cittadini intervengono solo quando sono in pericolo i loro beni, solo quando vengono toccate le tasche delle persone direttamente interessate. In questo senso, il Comune avrebbe il dovere di intervenire con i singoli condomini, per imporre loro una manutenzione immediata laddove si riscontrino pericoli per la sicurezza pubblica”.
Chi era suo marito? “Era una persona onesta, dedicata al lavoro e alla famiglia. Viveva per il suo quartiere, per il benessere della zona in cui era cresciuto e si era affermato come cittadino e lavoratore. Si era battuto per il ripristino di via Duomo, per rendere più vivibile un’area che oggi è piena di turisti, come ricorda una targa dedicata a lui dal sindaco nel 2021”.