La condanna più pesante è stata inflitta a Dante Apicella, un noto camorrista, che dovrà scontare oltre 16 anni di reclusione. Ma la sentenza ha anche riconosciuto il diritto allo Stato di ricevere un risarcimento da parte di Rete Ferroviaria Italiana, il Ministero dell’Interno e degli Esteri, che verrà quantificato in sede civile. Complessivamente, con la sentenza del giudice Rosaria Maria Aufieri del tribunale di Napoli, sono stati inflitti 38 anni di carcere, un’assoluzione e una multa di 5.000 euro a nove persone coinvolte nell’inchiesta sugli appalti della rete ferroviaria italiana affidati a ditte legate alla camorra. Questa inchiesta, chiamata “binario d’oro”, ha dimostrato come la camorra potesse infiltrarsi ovunque.

Dante Apicella dovrà trascorrere ben 16 anni e 5 mesi in carcere, con l’applicazione del regime di vigilanza e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Antonio Magliulo, imprenditore accusato di cambiare assegni per conto del clan, è stato condannato a 8 anni e 10 mesi di reclusione, mentre Augusto Gagliardo è stato condannato a 4 anni di reclusione e una multa di 5.000 euro. Giulio Del Vasto dovrà scontare 3 anni e 6 mesi di reclusione, Guido Giardino 2 anni e 8 mesi, Antonio D’Ambrosca, Pasquale D’Ambrosca e Pietro Andreozzi 1 anno e 10 mesi. Luigi Russo è stato assolto. Nell’atto di accusa, tra le altre cose, si ipotizzava che Luigi Schiavone, amministratore e socio di aziende gestite dal clan attraverso Dante Apicella, avesse fornito supporto alla camorra dei Casalesi intestando alcuni terreni a nome di Dante Apicella. In realtà, gli altri 59 indagati hanno scelto il rito ordinario. Il processo è in corso a Santa Maria Capua Vetere. Le accuse a loro carico vanno dall’associazione a delinquere di tipo camorristico, all’estorsione, all’intestazione fittizia di beni, alla turbativa d’asta, alla corruzione, al riciclaggio con l’aggravante della metodologia mafiosa e alla rivelazione di atti coperti dal segreto delle indagini. Quando l’inchiesta è scoppiata, i nomi che sono emersi sono stati quelli di Nicola e Vincenzo Schiavone. Quest’ultimo, secondo la Procura Antimafia, avrebbe costretto Giovanni F. e suo figlio Vincenzo, proprietari di un’impresa di Sparanise, ad acquistare la società “Saret appalto reti elettriche e telefoniche” con sede a Quarto, altrimenti sarebbero stati revocati altri subappalti. Inoltre, Vincenzo Schiavone e Claudio Puocci avrebbero chiesto denaro alle ditte di Sparanise che stavano eseguendo dei lavori in subappalto per la Ansaldo Energia presso la centrale elettrica. Secondo gli inquirenti, Nicola Schiavone, padrino di battesimo del figlio di Sandokan, Nicola Schiavone, oggi collaboratore di giustizia, avrebbe fatto affari grazie a un patto stretto con le famiglie mafiose. La moglie del boss Francesco, Giuseppina Nappa, disse in un’intercettazione che Schiavone avrebbe usato “il lievito madre” di Sandokan. Si ipotizza che Schiavone sia entrato in contatto con RFI a Roma e abbia ottenuto commesse in cambio di mazzette e regali, con il benestare di Dante Apicella.

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