Il terremoto del 23 novembre 1980 è un evento che ancora oggi viene ricordato con grande dolore e drammaticità da molte persone, soprattutto nelle regioni del sud Italia, come la Campania e la Basilicata. Quella sera, intorno alle 19:30, la terra ha tremato per più di un minuto, con un’intensità che è stata rilevata dai sismografi dell’Istituto Nazionale di Geofisica di Monteporzio Catone e dell’Osservatorio Vesuviano, pari al IX-X grado della scala Mercalli, ovvero magnitudo VII Richter. A causa di un’iniziale lentezza nei soccorsi e di una totale assenza di coordinamento, il numero delle vittime è stato purtroppo molto alto: ben 2914. Successivamente sono stati divulgati i numeri relativi ai danni effettivi: 506 comuni su 679 appartenenti all’area colpita dal terremoto sono stati gravemente danneggiati, 280.000 persone sono state sfollate e a causa dei mancati primi soccorsi il numero dei feriti è stato altissimo, ovvero 8848.

Per giorni, i telegiornali e i numerosi quotidiani hanno fornito testimonianze e aggiornamenti sull’evoluzione dei soccorsi attraverso foto, articoli e interviste. Tra questi, due articoli del quotidiano “Il Mattino” dell’8 dicembre 1980, scritti rispettivamente dalla giornalista Carmela Maietta e da Piero Incagliati, colpiscono profondamente. La Maietta racconta la storia di un bambino di soli 6 anni, ricoverato all’ospedale “Santobono” e rimasto orfano a seguito del terribile evento. Il piccolo Giovanni Ciccone, ancora ignaro del suo triste destino, viene presentato come un figlio in attesa che sua madre venga a prenderlo, convinto che il suo ritardo dipenda solo dalla mancanza di soldi per raggiungere Napoli in treno. Purtroppo, la realtà è ben diversa: il povero Giovanni ha perso sia la mamma che il papà, insieme ai suoi due fratelli e alle sue due sorelle! Durante un breve colloquio, il bambino ricorda solo di aver visto il pavimento della cucina cedere sotto i suoi piedi e poi non ricorda più nulla.

Un’altra testimonianza è quella del giornalista Incagliati, che riporta la storia di Claudia Frusciante, una giovane donna di Baronissi, una città del salernitano particolarmente colpita dal terremoto. Claudia ha perso la sorella nel vano tentativo di salvare le sue figlie, il nipotino e il cognato, schiacciati dal crollo dell’edificio in cui vivevano. Non lontano da Claudia, c’è una bambina di soli otto anni, Stefania Mazi, che è stata salvata insieme alla sorella e al fratellino grazie all’intervento tempestivo di un soldato di leva, Marcello Fasulli. Claudia, nonostante i suoi 30 anni, sembra molto più anziana a causa del dolore immenso che ha provato. Durante il colloquio, Claudia parla di un’altra ragazza, Marilena, che è stata salvata dal giovane soldato salernitano. Incagliati continua il racconto dicendo che Claudia è diventata mamma di 5 ragazzi, tutti nipoti, ovvero le due bimbe ricoverate al “Gemelli”, Vincenzo ricoverato al “San Giacomo” e altri due, Antonio e Assunta, che miracolosamente sono rimasti illesi semplicemente perché erano fuori casa a Salerno. Durante il colloquio, quando Claudia viene informata dell’arresto dei progettisti dell’edificio crollato a Baronissi, risponde con freddezza che ormai non le interessa più di tanto, poiché ciò non riporterà in vita i suoi cari. Nel frattempo, compare il giovane soldato che non ha mai lasciato sole le persone che ha salvato, portando conforto alle ragazze solo con la sua presenza. In un momento di lucidità, la piccola Stefania riesce a scrivere su una lavagnetta una breve frase per ringraziare il soldato Marcello per averla salvata.

Il terremoto del 1980 ha lasciato un segno indelebile nella memoria delle persone coinvolte. Le testimonianze di bambini come Giovanni e Stefania, e di adulti come Claudia, ci ricordano l’immensa tragedia che ha colpito queste regioni e l’importanza di un coordinamento efficace dei soccorsi per evitare ulteriori perdite. È fondamentale che eventi di tale portata non vengano mai dimenticati, al fine di prevenire e affrontare meglio situazioni simili in futuro.

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